SETTE
PER TRENTASETTE
Cullino,
d'Angella, Galliano, Accalai, Pinzi, Andreotti, Da Ronco: sette
sindaci nei miei trentasette anni di lavoro in Comune in una
Alpignano divisa in tre fette dalla ferrovia e dal fiume; divisa
storicamente e goliardicamente fra quelli “di qua” e quelli
“di là” di Dora (la snella Riparia, beninteso; da non
confondersi con la carducciana eporediese, cerulea e dal largo
seno); ri-divisa socialmente fra i quartieri “bene” e il Bronx,
fra il Maiolo e Sassetto, fra i (pochi) piemontesi e gli immigrati
pugliesi, veneti, calabresi, campani; ri-ri-divisa politicamente fra
una destra sempre minoritaria e una sinistra litigiosa che, ubriaca
di essere comunque maggioranza nell'operosa e sindacalizzata città
della lampadina, si spacca e divide e litiga per quarant'anni, dal
“tradimento” dei socialisti tentati da un'effimera alleanza con
la DC, alla conseguente scissione della Sinistra Indipendente, dai
sospettosi equilibri degli anni ottanta fra PCI e PSI finiti con la
scazzottata istituzionale fra sindaco e vice-sindaco, alle giunte
anomale e sperimentali bianco-rosso-verdi escludendo (finalmente) i
craxiani arraffatutto, alla creazione di un nuovo soggetto politico,
l'IDS (Impegno Democrazia e Solidarietà) coagulante laici e
cattolici (un pezzo di PD ante-litteram), su su fino ai giorni
nostri, cambiando le regole del gioco elettorale, ma non i
personalismi e i litigi nel partito di maggioranza che nel frattempo
cambia più volte nome, colore e sangue.
Sette
sindaci, i primi decisi a Torino dai boss dei partiti e votati
pro-forma in consiglio comunale; in seguito, con la nuova legge,
scelti direttamente dalla gente. Sette persone con i loro pregi,
difetti, caratteri che hanno voluto e/o accettato di mettere faccia
e voce e mani per guidare la nostra Alpignano. Qualcuno leader,
qualcuno outsider. Un anziano ma sempre indomabile Cullino venne a
chiedermi un giorno cosa se ne pensasse di questo nuovo sindaco, la
professoressa Galliano. Risposi come potevo e sapevo, ma poi chiesi
a mia volta come mai mi ponesse certe domande ma non fosse mai
venuto prima a chiedere la mia opinione su d'Angella. Rispose con un
guizzo di arguzia negli occhi che quello che io pensavo di d'Angella
lo sapevano tutti.
Sette
sindaci e trentasette anni di bilanci spesso faticosi e asfittici,
da quelli di Cullino che per pagare gli stipendi doveva ricorrere ad
anticipazioni di cassa (in pratica un oneroso prestito della
banca-tesoriere), a un aumento di popolazione pari al 41% fra gli
anni '70 e '80 (frutto di miopi politiche espansionistiche della
città, servili alle esigenze della metropoli) con relativo faticoso
impatto sul territorio e sulle infrastrutture, viabilità, reti,
servizi; dall'inflazione a due cifre degli anni '80 (ma c'era ancora
la contingenza che ammortizzava la botta ai lavoratori), al recente
soffocante patto di stabilità che impedisce anche ai comuni
virtuosi di spendere i propri soldi e li priva di quella autonomia
gestionale e decisionale garantitagli (a parole) dalla Costituzione,
alla crisi feroce odierna che morde e mastica e sputa le nostre
risorse e il nostro benessere sociale.
Sette
sindaci che la popolazione vedeva di fronte, mentre nei corridoi del
Comune li si vedeva anche da dietro, mentre si grattavano o
imprecavano o scivolavano o si sistemavano la cravatta prima di
esporsi al pubblico; un punto di vista impertinente e privilegiato
che permetteva a qualcuno di noi di farsi un’idea più precisa del
carattere e della coerenza dei Primi Cittadini, idea che poi
tracimava in città sulle gambe della credibilità e del seguito che
ciascuno di noi aveva nel proprio ambito. Come dissi una volta, si
può amministrare senza avere i dipendenti comunali dalla propria
parte, ma non avendoli contro. Del resto un rapporto corretto con i
propri collaboratori, che chieda il giusto (e anche di più perché
lo spirito di servizio comunque esiste ed è più diffuso di quanto
si creda) ma sappia riconoscere il merito ed eviti smaccati
favoritismi o scelte oblique e oscure non può che aiutare un buon
Sindaco nel suo lavoro e nella sua immagine.
Mi
fermo a sette e lascio, libero il posto, passo la mano, convinto di
essermi guadagnato quasi tutto lo stipendio pagato dai cittadini, di
avere servito i Sette, tutti, con lealtà, anche se con spirito
critico e schiena dritta. Sono altrettanto sicuro che nessuno è
indispensabile e non è facile lasciare una traccia in una realtà
così articolata e con equilibri di potere e competenze così
complessi: è difficile per un Sindaco, figuriamoci per un oscuro
funzionario. Ciò che conta veramente, alla fin fine, sono i
rapporti personali, le amicizie, i valori condivisi, il cammino
fatto insieme, la stima reciproca, la convinzione di aver fatto del
nostro meglio e la speranza che, con l’apporto di tutti e ciascuno
nel suo ruolo, sapremo migliorare giorno dopo giorno il futuro della
nostra città, dei nostri giovani, delle nostre vite. Ho sfogliato
un’ultima volta le mie 37 agende dove annotavo regolarmente
appunti e riunioni, dichiarazioni e commenti, e le ho distrutte (ma
qualche pagina l’ho trattenuta…) Buon lavoro a chi resta. Io,
adesso, tiro un po’ il fiato.
31/12/2011
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