AL CASTELLO DI VALENTINA
Concerto BlueStyle al castello di Bagnolo Piemonte - 17/11/07
Valentina ha coronato il suo corso di studi con
una brillante laurea in biologia e un simile traguardo, si sa, va celebrato.
Se poi all’occasione, mentre i giovani e la festeggiata si scatenano a fine
cena in danze tribali, si vuole anche abbinare un’affettuosa festa a
sorpresa per la dolce genitrice e i suoi amici fornendo a loro esclusivo
diletto un gruppo live, la serata diventa ancora più ricca e coinvolgente.
Pare che la musica inizialmente scelta fosse un rustico country, ma il
gruppo improvvisamente diede forfait e i BlueStyle, sia pure con preavviso
minimo, si dichiararono pronto e valido rimpiazzo.
Purtroppo, come insegna l’inquietante (ed
antropofago) dr. Hannibal Lecter “si desidera ciò che si vede” e si dà il
caso che dalle finestre di Vale si stagli a poca distanza la turrita mole
del castello di Bagnolo (da non confondere con Bagnasco… chi incappasse in
questo balordo errore fonetico metterebbe in crisi il navigatore di bordo,
l’amico alla guida e si sentirebbe una sventata testa di legno…) che fu così
scelto quale sede dell’evento.
Dico purtroppo, poiché il castello, simpatica
meta per una passeggiata domenicale, è un po’ più faticoso e scomodo da
raggiungere guidando vascelli carichi di strumenti e amplificazioni. Ma la
cosa non avrebbe turbato più di tanto gli ardimentosi bluestylers. Ciò che
li mandò in crisi, autentica mazzata sulla nuca, fu scoprire che la sorpresa
prevedeva la nostra totale invisibilità fino a fine cena, montando
l’attrezzatura in uno stanzotto adiacente l’imbandita sala padronale e
suonando da lì, avendo come unica apertura verso il resto del mondo
un’arcigna e stretta ancorché storica porta a battenti.
Superato lo sbigottimento, da veri
professionisti quali siamo, ci dedicammo a valutare e soppesare come
adeguarci alla sfida. Il pragmatico Dario, misurato con un colpo d’occhio la
stanza nella quale avremmo dovuto convivere con due pesanti catafalchi, una
sorta di letti scavati nel tronco di una sequoia, decise di ridurre al
minimo il suo set, limitandosi a grancassa, rullante, charleston e due
piatti, ergonomicamente avvitati l’uno sull’altro, sacrificando timpano e
tom e riducendo del 50% il proprio ingombro. Miki, per non essere da meno,
rinunciò alla disposizione a “elle”, impilando la seconda tastiera
sull’organo. “Mi sento tanto Brian Auger” annunciò con una risata falsamente
allegra alludendo a tale disposizione. Marcello, grande anima, addirittura
rinunciò al suo amplificatore, entrando col suo Jazz Bass direttamente nel
mixer, salvo poi borbottare indispettito “mannaggia, non c’ha un filo di
bassi!” alludendo alla scarsa resa sonora di tale soluzione di ripiego. Io
accantonai (ma senza grande sforzo) un paio di effetti per chitarra a
pedale, mentre Andrea, essendo già ridotto ai minimi termini, si acconciava
a suonare pressoché invisibile dalla sala. Dopodiché, avendo causato un
blackout già solo con l’accensione del nostro impianto, potammo ancora
una spia e un po’ di riscaldamento, settando la timida stufetta elettrica al
minimo.
Risolto il difficile problema di fisica di far
stare cinque rumorosi energumeni in un guscio di noce, affrontammo un altro
aspetto di vitale importanza. Infatti le concitate trattative telefoniche
fra Andrea a Vale non avevano messo nel giusto rilievo che l’arte, come
diceva l’Artotrogo di Plauto, è aiutata dai buoni bocconi. In altri termini,
che per poter profondere musicale sudore dovevamo pur nutrirci. La cosa fu
risolta, dopo un iniziale momento d’ansia, concordando che saremmo stati in
qualche modo sfamati nella sala degli aperitivi, una volta svuotata dagli
invitati mentre aspettavamo di essere chiamati al nostro dovere. Così,
bighellonando nell’attesa, ci scattammo alcune suggestive foto davanti al
meraviglioso e vitale camino, osservando ambiente e ospiti.
Una cosa soprattutto ci incuriosì. Valentina è
una bellissima fanciulla di misure e forme statuarie e, com’è logico e
comprensibile, lo è anche la sorridente sorella. Ma il numero di figliole
che ci sorpassavano di almeno una spanna in altezza, fatta la tara dei
doverosi tacchi a spillo di gala, era incredibile. Dopo i primi sguardi di
ammirazione, il fatto ci colpì in modo inquietante. Ogni statistica a noi
nota era stata sovvertita! Come si spiegava tale dispiegamento di valchirie?
Fui, io, con la prontezza di spirito che mi contraddistingue, a formulare
l’ipotesi più credibile: Valentina faceva parte di un team di pallavolo e
ovviamente aveva invitato alla festa tutte le sue compagne di squadra. Prima
di poter appurare la bontà della mia diagnosi, fummo serviti a tavola e la
nostra attenzione immediatamente si spostò. A parte i brontolii di Miki, in
serata particolarmente polemica (“…e voglio il vino, e il vino lo voglio
rosso, e questo è bianco, e voglio il salame, e il repertorio non mi va, e l’amplificazione va
disposta cosà…”) in pochi minuti si dipinse sui nostri visetti la serenità e
la gioia e fummo pronti per ottemperare al contratto.
Che dire? Suonavamo letteralmente alla cieca,
intravvedendo dallo stretto spiraglio qualche viso incuriosito che si
affacciava nel nostro sgabuzzino, gratificati da qualche invisibile
applauso.
Grande fu perciò lo stupore quando, a fine
serata, il giovanile papà di Valentina ci assicurò che la musica si udiva
benissimo, era stata molto apprezzata, rimpiangeva di non averci fatto
iniziare prima, lamentava che la scelta logistica fosse stata penalizzante
per lo spettacolo, elogiava la nostra perizia, si dichiarava fenderiano doc,
ovvero proprietario e suonatore di antica telecaster, esaminava ed
apprezzava i nostri strumenti, acquistava e regalava due nostri cd e una
copia de Il Blues & il Graal e, nel porgerci più del pattuito, ci prometteva
un’altra e migliore occasione in estate.
Il freddo della notte ci inghiottiva mentre
rimontavamo sulle nostre feluche diretti verso il letto.
Buonanotte, dottoressa Valentina. E…
arrivederci!
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