IL COLORE DEL JAZZ
Concerto dei GroovIn'digo - Torino 27/02/09
E'
Gigi, il bassista, che sfacciatamente racconta com'è andata.
"Avevamo
deciso di aggiungere al trio una voce femminile. Ne abbiamo
provinate alcune, poi è arrivata lei, Cristina. Ha fatto i suoi
pezzi, ha salutato, è uscita. Come se n'è andata, Domenico fa:
"A me questa mi piace!!!" Risate e coro dei colleghi e di
Cris: "La voce! Per la voce!"
La
battuta e l'equivoco, guardando Cristina, la sua cascata di capelli
biondi e ricci, il suo sorriso e il suo, ehmmm…
"personale", sono comprensibili. Ma in effetti, una volta
sentitala cantare, non c'è alcun dubbio che il commento del
batterista non fosse malizioso come Gigi vuol far intendere e si
riferisse sicuramente alla curatissima e coinvolgente voce della
fanciulla.
Stasera
è il debutto di Cristina Cietto con i GroovIn'digo
(garbato e sofisticato gioco di parole, che si comprende meglio se
scritto usando lettere colorate, in modo da far risaltare i
molteplici significati nascosti nella parola-valigia: da groovin',
cioè ritmo accattivante, eccitazione, essere in armonia, suonare
bene, e indigo, cioè indaco, il caratteristico colore
blu-violaceo che, come tutti sanno, si ricava dalla fermentazione
delle foglie dell'indigofera tinctoria previa ossidazione
all'aria aperta, e conferisce agli "uomini blu" mauritani
il loro colore e soprannome). Trio (con lei quartetto) di sapore
jazz, swing, latino, ruotante intorno alle dita precipitose e
precisissime di Roberto Bocca e sostenuto dalla nitida sezione
ritmica di Gigi Bosio e Domenico Mansueto.
Generosamente,
sapendo che fra il pubblico c'è (almeno) un maniaco chitarrista che
in assenza del suo strumento preferito dà in smanie e viene preso
dalle convulsioni, per l'occasione sul palco è presente anche una
Stratocaster color verde mare, con la paletta in tinta. Tale
dettaglio potrebbe indicare che il modello risale al 1981, esser
stato assemblato nella fabbrica di Fullerton, con Gregg Wilson
progettista e Dan Smith direttore commerciale, mentre l'addetto al
catering (panini e birra, insomma) era un certo Big Fred… ho
capito, ho capito, non ve ne frega niente! Ok.
Sin
dalle prime note colpisce l'abilità, la professionalità, il
virtuosismo dei musicisti (del resto navigati ed esperti come la
loro non più acerba età fa supporre), ma anche, accidenti, la
duttilità, l'intensità e le sicure acrobazie vocali della giovane
Cristina. Il repertorio spazia fra classici swing come Caravan di
Duke Ellington ("La notte e le stelle brillano lassù – il
mistero delle loro luci ammiccanti – che luccicano sulla nostra
carovana"), evergreen come Les Feuilles Mortes (a cui Roberto
approda dopo alcune buffe false partenze, giocando al Pianista
Smemorato), sostituendo il testo originale di Jacques Prevert con
quello, ormai altrettanto storico e sessantenne, di Johnny Mercer
che la ribattezza Autumn Leaves. I sapori latini si affacciano con
Besame Mucho (che ci piace ricordare nella versione strumentale di
Jet Harris, biondo bassista fuoriuscito dagli Shadows, nonché come
classico con cui si cimentavano sui palchi di Amburgo i primi acerbi
Beatles), il reggae della Roxanne di Sting viene virato in bossa
nova, mentre per un vecchio canonico blues ed un classico del rock
come Route 66, la "Mother Road" di John Steinbeck, sale
sul palco un lungo pellerossa, fino ad allora in agguato dietro al
mixer, che imbraccia la Fender e aggiunge i colori del suo fraseggio
al pezzo.
Ma
la sorpresa della serata è sicuramente la nostra Cristina
("nostra" per la catena di affetti che ci lega, attraverso
Marcello e il giovane – e fortunato – Matteo, rispettivamente
mio fratello e mio, ehmmm… "nipote" in musica) che ha
masticato e digerito la lezione delle Grandi Voci, da Sinatra a
Sarah Vaughan, e la cui voce è ora velluto, ora marea, ora grido
imperioso o sibilo di vento, scivolando con scioltezza e agilità su
tutte le scale (è il caso di dirlo) del suo spettro canoro.
Un
debutto importante che è una squillante tromba che annuncia
prossime e ripetute vittorie.
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