GOLDEN
BLUES
Magazzino di Gilgamesh - Torino 13/02/09
3°
Blues Festival al Gilgamesh e 5° appuntamento, con il chitarrista texano
Carvin Jones. La nostra presenza di pigri pantofolai è però più
giustificata dal gruppo d'apertura, i Chicago Sound Machine guidati dal
chitarrista e cantante Andrea Preto, che propone come ospite (o nuovo
acquisto?) nientepopodimeno che un bluestyler, il "nostro"
Michelangelo Bergantino, detto Il Tornado dell'Hammond, ovvero Turbo Miki.
In effetti lo saluto scuro in volto. "Sono qui per salire sul palco,
prenderti per un orecchio e riportarti a casa!" lo minaccio. Lui si
schermisce. "Sai… è un periodo che i BlueStyle non hanno
concerti… mi hanno chiesto di venire stasera… ma con loro ho meno
spazio che con voi… ci sono già due chitarristi, entrambi molto bravi,
e io faccio solo gli accompagnamenti…"
Ovviamente
tutto questo è uno scherzo fra musicisti. Come ricorda Marcello, in una
band non ci si sposa e ciascuno è libero di svolazzare su ogni fiore che
possa regalargli stimoli e soddisfazioni, come dimostro continuamente io
stesso con i miei continui esperimenti e frequentazioni musicali. La
Musica dev'essere un piacere, conclude sempre il buon Maci, e se mi deve
portare tensioni e litigi che piacere è?
Comunque
Miki è un bugiardo e non è vero che il suo ruolo nella Chicago Sound
Machine è solo di tessitore di sfondi sonori: sin dal secondo pezzo si
lancia in 24 battute di assolo, spingendo vertiginosamente le sue leve
bianche e nere ai confini dell'emozione. Però è vero che il gruppo è
saldamente ancorato sugli svisi del leader e sull'intelligente lavoro di
riff e accordi di Marco Rafanelli (che verso la fine ci regala anche un
paio di geometrici assoli), mentre ci pensano i due Roberti della sezione
ritmica ("Cleanhead" Pozzati e "Long Grey" Castagnero)
a fornire quel groove un po' funky che caratterizza il sound e il
repertorio della band. Simpatica performance di Andrea è quella di
scendere fra i tavoli (la chitarra è collegata all'impianto non via cavo
ma via radio) ed esibirsi muovendosi fra gli avventori. Come vedremo, è
una gag che ci verrà riproposta ancora nella serata.
Ecco,
infatti, l'arrivo della star, anticipata sul palco dalla sua sezione
ritmica. Carvin l'abbiamo già intravisto ed è una gigantesca e nera
presenza. Anche il batterista è di taglia extra-large e il nostro
commento è scontato: 'mmazza! è proprio vero che in Texas tutto è più
grande che altrove, guarda che bestioni! Peccato però che il presentatore
un attimo dopo specifichi che bassista e batterista siano stati reclutati
in quel di Napoli! Ci rimaniamo male, ma è il prezzo da pagare quando si
vuole fare gli spiritosi affidandosi ai luoghi comuni.
Carvin
Jones arriva indossando una maglietta dorata sopra alla t-shirt, un
cappello nero troppo piccolo per il suo cranio e imbracciando una
Stratocaster che, fra le sue mani, sembra un giocattolo della Barbie. E
parte. Dalla prima nota fino alla fine del concerto – condotto senza un
attimo di pausa, legando strettamente i pezzi come perle di una ruvida
collana, fedelmente seguito dai suoi due soci ad ogni cambio di ritmo e di
titolo – rimaniamo a bocca aperta per il suo stile funambolico e la sua
presenza scenica. E' sicuramente il più divertente concerto che abbiamo
mai "visto"! Il texano Jones attinge a piene mani allo stile
irruente dei suoi compatrioti Freddie King, Stevie Ray Vaughan, Billy
Gibbons, aggiungendoci la grinta di Buddy Guy e soprattutto tutto il
bagaglio sonoro e spettacolare del grande Jimi. Carvin suona la chitarra
solo con la sinistra, mentre con la destra saluta il pubblico, si toglie
il cappello, manda baci alle signore in sala. La suona tenendola scostata
dal corpo, come reggendo una bandiera; la suona dietro la schiena, la
suona sdraiato per terra, reggendola con i piedi e percuotendola in
qualche modo con le dita. La fa risuonare in ogni modo, sbattacchiandola
qua e là, abbandonandola ululante sul palco, riprendendola e piegandola
ad ogni suo capriccio. Anche lui penetra fra i tavoli e suona in mezzo al
pubblico che applaude, ride e lo fotografa. La scaletta è pensata per
suscitare subito un ruggito di approvazione e appartenenza, zeppa di pezzi
storici e ultranoti ai presenti: Hideaway, Mary Had A Little Lamb, La
Grange, Sweet Home Chicago, Under A Bad Sign e poi Hendrix su tutti, con
Fire, Purple Haze, Hey Joe, Voodoo Chile. A Carvin Jones piace piacere ed
è perfettamente a suo agio in questa performance che sa unica per estro,
foga, divertimento. La sua maglietta luccica metallica sotto le luci del
palco così come nel buio della sala, perfetta armatura di questo
incredibile Cavaliere del Dorato Blues.
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