IL MIO AMICO MARK

 

 

Oggi è l'anniversario della morte di Mark Twain, arrivato su questa Terra, come diceva lui, con la cometa di Halley nel 1835 e ripartitosene al ricomparire della stessa nel 1910, come da lui serenamente previsto l'anno prima.

Mi capita spesso di sottolineare come la mia vocazione umoristica si basi su giovanili e maniacali letture degli albionici P.G.Wodehouse e J.K.Jerome, l'uno creatore dell'inimitabile maggiordomo Jeeves, deus ex-machina e puntuale salvatore del suo imbranato giovin signore Bertram Wooster, e l'altro narratore e comprimario dei Tre uomini in barca (per non parlar del cane), la mia matrice di humour anglosassone, insomma. Ma in eguale misura io devo molto al mio amico Mark, pilota di battelli sull'Old Man River, cercatore d'oro, minatore, giornalista e conferenziere. Di Twain amo il paradosso un po' sgangherato, il nonsense applicato alla vita quotidiana, la banalità riscattata da un occhio arguto e fintamente ingenuo e sprovveduto. Dal buffo espediente, quasi goliardico, del Ranocchio Saltatore della Contea di Calaveras, storia che viene prima raccontata, poi tradotta in francese e poi ri-tradotta in inglese/italiano in modo maccheronico, a orecchio, con involuzioni sintattiche da cui hanno copiato tutti quelli che intendono sfottere un'altra lingua (e Asterix gli renderà la pariglia quando incontrerà e farà il verso ai cugini Britanni: "Dico, è un pezzo di fortuna, non lo è esso?"), all'Economia Politica, titolo fuorviante poiché il protagonista non potrà mai concludere il saggio su questo nobile argomento, assillato com'è da un invadente venditore di parafulmini che lo interrompe in continuazione e riesce a installargliene qualche dozzina. Dalla strofetta ossessiva e ossessionante "Deh, punzona o controllor, in presenza al viaggiator!" captata per caso e che ridurrà il protagonista ad uno straccio prima di liberarsene riversandola nelle orecchie di un'ignara scolaresca, al turbolento Giornalismo nel Tennessee, dove ogni discussione e differenza di opinione viene sottolineata e risolta a pistolettate. Amo visceralmente l'ampio affresco dell'Americano alla Corte di Re Artù, che mischia spudoratamente tempi e leggende ed è ironico, avventuroso, fantastico, ma anche tenero e amaro. Vi si trova una delle sue più belle e sindacali affermazioni che suona più o meno così: "Non mi rompano con lo stress del lavoro intellettuale! Io sono pronto a risolvere con le mie meningi il più difficile problema dell'universo per un compenso così piccolo da non potersi nemmeno contare, ma non esiste al mondo tanto oro da persuadermi a manovrare un piccone dall'alba al tramonto." E non dimentichiamo Il Principe e il Povero (così godibile che conta almeno quattro versioni cinematografiche dal 1909 al 2007), la Banconota da un Milione di Sterline (sagace intuizione sull'economia basata sulle apparenze e non sui fatti) e Wilson lo Zuccone, primo esempio di racconto poliziesco scientifico ambientato nel Far West. Trascuro di proposito la saga di Tom Sawyer e Huck Finn perchè universalmente nota, ma concludo con le parole di Hemingway: "Tutta la letteratura moderna statunitense viene da un libro di Mark Twain Huckleberry Finn. ... tutti gli scritti Americani derivano da quello. Non c'era niente prima. Non c'era stato niente di così buono in precedenza". 

 

21/04/2011

 

 

 

 

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