CHITARRE
E NEVROSI
La
prima biografia del mio eroe, Eric Clapton, la lessi più di dieci
anni fa e già allora ne trassi un qualche conforto sorprendendomi
alle difficoltà e alle ansie che aveva vissuto e dalle quali era
comunque emerso come un simbolo del chitarrismo del ventesimo
secolo. Ma è la sua autobiografia che scava molto più a fondo in
questi aspetti, quasi sorvolando sulla sua storia musicale per
aggrovigliarsi nelle sue emozioni e insicurezze. E' spiazzante
leggere di un Clapton, che già i muri londinesi incoronavano Dio
("Clapton is God", scrivevano), già stimato con gli
Yardbirds, già celebre con Mayall, già osannato con i Cream, che
in occasione di un suo intervento solista sull'album di Aretha
Franklin scrive: "Ero
nervosissimo, perchè non sapevo leggere la musica, mentre tutti
suonavano tenendo gli spartiti sui leggii.” Oppure, al culmine
della creatività con i Cream e l’album Disraeli Gears, che
ammette: “Purtroppo per noi,
Jimi era appena uscito con Are You Experienced? E la gente voleva
ascoltare solo quello. Dovunque si andasse, Jimi c’era ed io
cominciai a sentirmi depresso.” Sul primo incontro con Hendrix:
“Era fantastico… piacque
moltissimo, al pubblico come a me, ma ricordo di avere pensato di
essere davanti a una forza con cui bisognava fare i conti. Mi
spaventava, perché era chiaro che sarebbe diventato una grande
star, e se noi stavamo ancora cercando di trovare la giusta velocità,
lui era già arrivato al massimo.” E solo un anno dopo,
schiacciato e deluso dal mito Cream: “C’erano
occasioni durante le quali, suonando per un pubblico che non vedeva
l’ora di osannarci, ce ne compiacevamo. Cominciai a vergognarmi di
fare parte dei Cream perché pensavo che fossero una truffa. Non
crescevamo. Musicalmente ero stufo di virtuosismi.” Così,
smantellati i Cream, Eric accettò l’idea di formare un
supergruppo (“odiosa definizione”) con Steve Winwood e ancora
l’ingestibile Ginger Baker. “Forse,
inconsciamente, volevo ricreare The Band in Inghilterra, un’idea
che, lo sapevo benissimo, era una scommessa azzardata, motivo per
cui battezzai il nuovo gruppo Blind Faith (fiducia cieca)”. Ma
al primo concerto “l’amplificazione
era sottodimensionata per esibirsi all’aperto, e il nostro suono
risultò modesto e metallico. Scesi dal palco tremando come una
foglia e con la sensazione di avere tradito la gente. Il mio
meccanismo di autocolpevolizzazione si scatenò contro Ginger,
alimentando il mio crescente risentimento.” Comunque i Blind
Faith, forti del seguito dei loro componenti e della campagna
pubblicitaria, radunarono un ampio pubblico. Ma Eric c’è solo con
le dita, non con la testa e il cuore. “Ripensandoci, mi rendo conto che fin dall’inizio sapevo che quello
non era ciò che volevo fare davvero, ma ero troppo pigro… Evitai
completamente la responsabilità di essere un membro del gruppo e
scelsi il ruolo di semplice chitarrista. Questo deluse molti di
coloro che pensavano dovessi assumere un ruolo più dominante, primo
fra tutti Steve, sempre più irritato dal fatto che non mi offrissi
più spesso di cantare… Si concluse con la disintegrazione della
band. Fu solo colpa mia e avvenne per un’unica causa. Più mi
disamoravo di quello che facevamo, più mi lasciavo affascinare dal
nostro gruppo di supporto, Delaney & Bonnie… Per me, andare su
dopo D&B era molto duro, perché pensavo che fossero parecchio
migliori di noi. Nella loro band c’erano un sacco di bravissimi
musicisti del sud, capaci di produrre un sound molto robusto e di
esibirsi con sicurezza assoluta.”
Potrei
andare avanti ancora, usando le parole stesse con cui Eric
spietatamente ammette le sue insicurezze, ansie e mancanza di
autostima: lui, il Migliore!
Ma
in realtà era in buona compagnia. Lo stesso anno John Lennon lo
invita a partecipare ad un concerto improvvisato a Toronto (un aereo
e via, provando i pezzi con le chitarre acustiche nella cabina, con
stupore degli altri passeggeri). “Quando
arrivammo scoprimmo che ci saremmo esibiti fra Chuck Berry e Little
Richard e John era terrorizzato, credo sopraffatto all’idea di
salire sul palco con tutti i suoi idoli. Nel backstage John e io
sniffammo così tanta coca che lui vomitò e io dovetti stendermi
per un po’.”
Sempre
sulle insicurezze e tensioni in ambito Beatles: “Mi
sembrava che Paul e John cercassero di sminuire il contributo di George e Ringo al gruppo. George proponeva canzoni per ogni disco e
se le vedeva regolarmente respingere. Credo pensasse che la nostra
amicizia gli avrebbe dato un po’ di sostegno e che invitarmi là a
suonare (su While My Guitar Gently Weeps)
potesse rafforzare la sua posizione e fruttargli un po’ di
rispetto.”
Ecco
invece i Rolling Stones che cercano di registrare uno show, il Rock
And Roll Circus: “Purtroppo tutto il progetto non teneva conto che gli Stones erano
conciati maluccio in quel periodo. Brian, oltre che estromesso dalla
band, era chiaramente sotto pressione e si capiva che erano tutti un
po’ depressi. Il risultato fu che la loro performance fu spenta e
stonata, e sembra che quando vide le riprese, Mick decise di non far
uscire lo special.”
E
Jimi? “La cosa che trovavo
rinfrancante di lui era che facesse seriamente autocritica in fatto
di musica. Aveva un talento spropositato ed una tecnica fantastica,
ma non sembrava rendersene conto. E poi avevo visto anche il lato
divertente e modesto che c’era in lui. Gli piaceva passare le
nottate fuori, a ubriacarsi o strafarsi e, quando imbracciava la
chitarra, era sempre in modo molto casuale, come se non si prendesse
troppo sul serio.”
Parafrasando
gli eroi dei fumetti Marvel: grandi talenti con grandi problemi.
L’altra sera però, per la prima volta, lessi queste pagine
permettendomi dei confronti personali, quotidiani. La sicurezza,
pensavo, non dipende dalla bravura, ormai è chiaro. Io che nel
microscopico dei miei gruppi e facendo la mia musica, dopo ore e ore
di prove rilassate e tranquille, maledico l’ansia e la tensione
dei concerti in cui rimango afono, contratto, con crampi alle dita
della sinistra, alla gamba, al piede, tossendo e restando senza
fiato, dovrei ispirarmi ai miei eroi e meditare che la sicurezza non
ti arriva dalla tecnica o dagli amici o dallo spirito santo. La
soluzione la trovi rovesciando il problema: se trovi un tuo
equilibrio e una tua serenità, se impari ad accettarti e
sconfiggere quella vocina malefica che ti bisbiglia carognate da
laggiù in fondo, nulla più ti spaventerà. Nemmeno (orrore!)
salire su un palco.
10/03/12
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