QUESTIONE
DI ORECCHIO
E’
stata una folgorazione. Mentre mi sciroppavo (guidando con seriosa
prudenza) il migliaio di chilometri di autostrada che dovevano
consegnarmi alle mie vacanze marine, l’occhio mi cadde su una
vetturetta che stavo legittimamente sorpassando, una Toyota, e
improvvisamente l’emisfero destro del mio cervello, quello poeta,
quello emotivo e visuale, tossì e si distrasse un attimo e
finalmente la metà di sinistra, quella ingegneristica, deputata
alle interpretazioni linguistiche e alle concatenazioni logiche,
riuscì a farsi sentire sopra il rumore del motore e gridò rauca:
“AYGO! E’ un insieme alfabetico che, letto da qualunque
terrestre - me escluso - richiama l’espressione formulata
nell’anglosassone esperanto, nella lingua dominante del pianeta, I
go, Io vado, Io viaggio!”
Per
l’emozione quasi mi dimenticai di segnalare correttamente tramite
gli indicatori di direzione che stavo rientrando nella corsia di
destra dopo il sorpasso. E fui travolto dall’agnizione: finalmente
capii, dopo una vita di dubbi e perplessità, perchè mi ero sempre
ostinato a chiamare la benzina araba “Cu-otto” e addirittura la
bevanda gassata statunitense “Zup”, sia pure con qualche
perplessità per quella zeta incompleta e priva di base. Tutto ciò
derivava dalla micidiale combinazione di due limiti personali che
finalmente mi apparivano in tutta la loro evidenza.
1)
Sono italiano, parlo e scrivo in italiano e non ho abdicato alla
mia lingua madre nei confronti dell’inglese. Amo le parole, le
scelgo con cura, ci amoreggio, ci gioco, ci scherzo, le coccolo e le
vezzeggio e ne sono affettuosamente ricambiato. Ma sempre nella
lingua di Dante. Non è stata una scelta pienamente consapevole e
nemmeno una presa di posizione polemica, ma è un fatto che se
guardo delle lettere dell’alfabeto in sequenza le vedo e le
interpreto partendo dal presupposto che, se vogliono mandare un
messaggio a me, qui in Italia, lo debbano fare in un codice che io
capisca, che sia mio, che non pretendano o presumano che io conosca
o intuisca o immagini o indovini altri linguaggi stranieri. Se la
pubblicità la dovessi creare io (sono un esperto certificato in
comunicazione pubblica, quindi la cosa, per un certo periodo della
mia vita lavorativa, mi ha effettivamente riguardato) so per certo
che sarei molto attento ad assicurarmi la massima comprensione da
parte del maggior numero di persone. Per esempio, io non avrei mai
scelto l’attuale logo di Carrefour, che per me è sempre stata una
bizzarra freccia blu che indica a destra accostata ad
un’incongruente e fuorviante triangolino rosso che indica invece a
sinistra; dal che si deduce da una obiettiva e asettica disamina dei
fatti che assai probabilmente le ricerche di mercato e gli studi
pubblicitari internazionali non sono stati tarati su di me.
Dovete
ammettere che questa rigidità semantica, questo sciovinismo
tosco-manzoniano, questa massiccia aderenza alla superficie del
messaggio è già un notevole limite, che mi inibisce un sacco di
informazioni, dai titoli giornalistici, alle citazioni su facebook.
Ma non è tutto.
2) Io-Non-Ho-Orecchio! Caspita, bastava chiederlo a
chiunque fra i miei tanti amici musicanti, cantanti, coristi,
partners... “compagni” voglio dire, che mi sopportano e non mi
cacciano solo grazie al mio discreto senso del tempo, alla mia ampia
e utile dotazione strumentale, alla mia totale dedizione ad Euterpe
e, forse, alla mia affidabilità organizzativa (e puntualità). E’
un fatto riconosciuto e dimostrato che nel coro non azzecco mai la
giusta e prevista armonizzazione, ma non riesco neppure a
distinguere fra ciò che canto io e la corretta e richiesta linea
vocale. Cerco di metabolizzare il tutto dichiarando con un mezzo
sorriso di scusa che io sono un bluesman (l’anglofilia qui è
necessaria e intraducibile), solito ad ululare solitario alla luna
(sottinteso: senza soprani, contralti e tenori fra le scatole e con
cui vedermela), ma è un malinconico alibi.
L’aveva
capito al volo anche la cameriera parigina, considerato che io mi
rivolgevo a lei nella sua lingua, ma toccava a mia moglie (che aveva
studiato solo tedesco!) intuire le sue risposte e tradurmele. L’ha
sempre saputo mia figlia che esclamava esasperata già prima dei
diciott’anni canonici e patentabili: “Ma papà! Non lo senti il
motore?! Cambia marcia!”
E’
ormai tutto chiaro: non ho orecchio. Sono un visivo; se leggo o
guardo qualcosa non mi viene da tradurlo mentalmente immaginandone
il suono e quindi cogliendone significati percepibili solo tramite
l’udito. A scuola, a un corso, pretendo di avere da subito delle
dispense da leggere e sovrapporre al docente. Prendo appunti
distribuendoli meticolosamente nella pagina, con rimandi e
sottolineature. E ancora: parlo pochissimo al telefono, preferisco
mandare messaggini scritti o mail. Non suono mai a memoria, ma
leggendo testi e accordi su uno spartito, ancorché rudimentale, e
non mi permetto di metterne in dubbio la veridicità o
l’accuratezza basandomi su questo senso che per me è secondario e
inaffidabile, cioè l’udito.
Oddìo, sono in buona compagnia: secondo le statistiche noi
visivi siamo la maggioranza assoluta, contro un 20% di auditivi e un
25% di cinestesici. Non dovrei lamentarmi quindi e magari neppure
giustificarmi o scusarmi. Perciò questo mio sfogo prendetelo solo
come un definitivo avviso, come una essenziale informazione
preventiva, come un paio di mani aperte e poste in avanti. Ve lo
scrivo a chiare lettere, segnatevelo (o imparatelo a memoria):
NON
HO ORECCHIO!
6/08/2015
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