IT'S
FOR YOU
Concerto Red Fox a Casa Mad - Torino 8/09/11
L'ansia
e la tensione sono finite perchè alla fine il parcheggio nel Quadrilatero l'ho
trovato, non ho preso multe, non mi hanno imbottigliato l'auto,
l'attrezzatura (due chitarre, un amplificatore, un leggio, un'asta,
un reggi-chitarre, un borsone con cavi, pedali e ammenicoli vari)
l'ho trasportata, il micro-palco è stato allestito, la birra ci ha
dato coraggio, il peperoncino ci ha dato energia, il mixerista ci ha
dato sicurezza, la padrona di casa ci ha abbracciati, gli amici sono
venuti e hanno applaudito (sono amici...), la mia socia ha sorriso e
cantato e suonato ed io ho soffiato tutto il mio fiato per mantenere
in quota il tappeto di note su cui lei volava a braccia aperte. Ho riportato tutto in auto
(due giri ogni volta fra le vecchie viuzze intorno al Balòn), ho
messo in moto, ho eseguito un'attenta retromarcia, ho tirato un
sospirone e ho acceso l'autoradio.
Ho
cambiato da poco il pacco di cd e non ricordo cosa ci sia sulla
compilation che sto ascoltando. Ma a un certo punto parte un
intro che so a memoria, morbido, vellutato, allusivo, una chitarra
acustica ritmata e ondeggiante, poi un liquido synth: ta-ta-tàn...
taa taa - ta-ta-tòn... ton toon... è It's For You di
Pat Metheny, otto minuti e ventitrè di colonna sonora del film Fandango
e colonna sonora di tante notti in autostrada, di tanti viaggi fuori
e dentro me stesso.
Il
pezzo è rarefatto, celestiale, con la voce lontana di Nana
Vasconcelos che prega e ammonisce, i fischi di Lyle Mays che
trascinano pesi e promesse. Ma a un certo punto il buio sparisce e
l'alba si annuncia con la chitarra di Pat, distratta per due giri,
ma che poi imbocca la scala per le nuvole e ci costringe a fissarla
e non perderla di vista. Lei sa. Sa tutto. Ha capito ogni cosa ed è
disposta a spiegarci. Quelle note trillano e sorridono, rassicurano
e giocano, corrono e ci invitano a inseguirle. Ed io mi ritrovo con
sei occhi, due puntati sulla strada, due piantati nella nuca a
scrutare il mio passato e due ruotati di centottanta gradi che mi
guardano dentro, inquisitori anche se non minacciosi.
Chi
sono? Cosa voglio? Cos'ho fatto? Cosa mi manca? Di cosa non posso
fare a meno? Su chi posso contare? Quale sarà il mio prossimo
sentiero, la scelta che farò al prossimo bivio? Cos'ho avuto?
Cos'ho dato? Ho pagato i miei debiti? Tutti? Quanti sono i miei
rimorsi? E i rimpianti? I sogni realizzati, come un dono insperato,
quelli abbandonati con un sospiro, quelli che continuerò a sognare
da sveglio, da vivo, da morto, ma non smetterò di tenermi stretti?
E quale sogno sono io? Forse è me, e non Alice, che sogna il Re
Rosso addormentato sull'erba umida e se si sveglia, sparirò?
E'
la musica, è la tensione scoppiata come un palloncino bucato, è la
notte, è il bisogno di capire se sto bene oppure no (per un
bi-Cancro può essere una domanda che necessita di una lunga
risposta...). E' un profondo senso di struggimento, di dolcezza, di
melanconia, che pian piano, scivolando sulle corde di Pat, si
coagula in una ben percepita e chiara gratitudine, serenità,
energia, affetto.
E'
la notte di un duro giorno, sentenziava Ringo e cantava John. Per me
è un'altra piccola gemma da chiudere nel cassetto dei ricordi;
meglio, è un seme da sotterrare e innaffiare e sorvegliare e
accudire. Era un'ipotesi ed ora è un teorema. Era un sogno ed ora
è un regalo. Era un lamento ed ora è un canto. Intorno a me, nelle
incerte luci dei fanali di questo spiccio raccordo di campagna
improvvisamente mi appaiono danzando scomposti fuligginosi minatori,
sorelle gelose, luminose regine, innamorati impazienti, mariti
traditi, ragazze con occhi ridenti, vecchie signore in attesa. E poi
cinici corvi, gatti assonnati, allodole bagnate di rugiada. Mentre
rallento affrontando l'ennesima rotonda, dal prato schizza verso di
me una piccola volpe dal pelo fulvo. Mi guarda dritto in faccia e -
giuro - mi strizza l'occhio. E io le sorrido.
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