ULISSE
E TOPOLINO
Concerto BlueStyle al "Bio Birre" - Santena 18/11/2005
“Lo
maggior corno della fiamma antica
cominciò
a crollarsi mormorando
pur
come quella cui vento affatica.
Indi
la cima qua e là menando
come
fosse la lingua che parlasse
gittò
voce di fuori e disse: “Quando
mi
dipartì da Circe che sottrasse…”
Gli
occhi di Andrea si sbarrano sempre di più. La sua schiena si inarca sulla
sedia, come per sfuggire ad una insidiosa e tremenda minaccia, ma lo
schienale lo blocca. Così, succube della sua buona educazione e del
rispetto che sente di dovere al suo anziano capobanda, si sciroppa tutto
il ventiseiesimo canto dell’Inferno che io – con lo sguardo spiritato,
alternando toni drammatici e pubblicitari, accompagnandomi con ampi gesti
delle mani – gli snocciolo tutto d’un fiato, passando attraverso il
“fatti non foste a viver come bruti”, fino al tragico naufragio
conclusivo. Compiuto il quale mi volto e saluto affettuosamente Serena
appena arrivata.
Ma
arrivata dove? Dove siamo? Ok, facciamo un passo indietro. Scena: la sala
prove Arcobaleno, martedì sera. I BlueStyle hanno prenotato la sala alle
otto. (Marcello telefona scusandosi per il ritardo: credeva che
l’appuntamento fosse alle otto e mezza; quindi arriva alle nove... ma
dal Tarantino non ci aspettiamo di meno.) Il capobanda riferisce in merito
al concerto fissato per venerdì sera a Santena.
“…
Perry mi ha comunicato che avremo diversi ospiti, fra cui un chitarrista,
tale Alberto C., che a sua volta mi ha mandato una mail per concordare i
pezzi da fare insieme. Lui propone Got My Mojo Working (brontolii di
assenso da parte del gruppo: il pezzo fu già in scaletta e non presenta
problemi) e l’hendrixiana Little Wing. Qui abbiamo qualche difficoltà
essendo passati circa quindici anni dall’ultimo tentativo di riproporre
la lisergica ballata. Andrea commenta lucidamente: “Vorrà farsi lui
l’intro, la parte più figa.” Infine concordiamo di proporgli in
alternativa una più lineare All Along The Watchtower e così, definite le
questioni legate ai doveri di ospitalità ci concentriamo sulla struggente
Don’t Let Me Be Misunderstood che vorremmo esibire quale regalo per il
compleanno di Isabella “La Guardiana”, amica e fan il cui cuore sta
migrando faticosamente dalle liriche emozioni celtiche al sudato blues.
I
miei partners (presumo terrorizzati da questo spauracchio superpignolo) mi
hanno telefonato, tutti, per concordare i tempi di arrivo, per avvisarmi
di ogni minimo ritardo, per chiedere e dare mille conferme. Ed eccoci a
Santena nel curioso locale “Bio Birre” che unisce le funzioni di
birrificio (la fanno) e birreria (te la fanno bere).
Si
ripassa la scaletta, comprensiva degli extra e Dario fa: “Ah, il
chitarrista ospite… è il mio chitarrista.” E, cogliendo lo stupore
sui nostri visetti, si affretta a spiegare: “E’ un gruppo nuovo con
cui collaboro da poco. Ieri sera stavamo provando e alla fine io dico:
Domani suono. Anch’io, fa lui. Dove suoni, faccio io. A Santena, fa lui.
Come, a Santena? Anch’io suono a Santena. Ma quanti locali che fanno
musica live ci sono a Santena?” Perplesso da tanta coincidenza io provo
a verificare: “Ma come si chiama? Si chiama Alberto C.?” “Boh?” è
la risposta del Persiano, facendomi ritornare alla mente la famosa battuta
della spregiudicata francesina: “E’ stato proprio bello. Come ti
chiami?” Ulteriore conferma che la Musica è una passione che non chiede
carte d’identità.
Perry
è stato onesto con noi anticipandoci che l’acustica dello stanzone è
quanto meno problematica. A turno battiamo le mani, pestiamo i piedi,
esclamiamo “Ah!” e la caverna ci ritorna una vibrante eco naturale,
sicuro presagio e causa di suoni impastati e rimbombi. Ma è quando il
gioco si fa duro che i duri eccetera e noi, seri professionisti,
asciughiamo i nostri suoni fin col phon per rendere la performance
accettabile.
Finalmente
incontriamo il giovane Alberto, puntualissimo anche lui, con cui proviamo
quanto concordato. Ma la sua grinta e abilità sulla Stratocaster farà sì
che alla fine verrà chiamato a unirsi a noi in una mezza dozzina di
pezzi, compreso il pirotecnico finale che vedrà lui e Andrea dialogare,
duellare, giocare, divertire e divertirsi.
Il
pubblico è numeroso e caloroso, smosso e scosso dalla notizia del Grande
Ritorno dei BlueStyle. La mia famiglia è arrivata con un leggerissimo
ritardo poiché pare che l’autista, nella distrazione di una piacevole
chiacchierata, avesse confuso Santena con Savona e in quella direzione
avesse diretto la vettura, salvo un successivo fortunato ripensamento. Dal
palco gestisco scaletta e dediche: una per il compleanno della nostra
amica ed una per la scomparsa del grande Clarence “Gatemouth” Brown,
vittima dei disagi per sfuggire all’ultimo ciclone floridiano. Vero è
che la Sorte negli anni è stata crudele e i Grandi Scomparsi che
aleggiano invisibili sul palco con le loro canzoni sono legione: Brown e
Hendrix, Dixon e Hooker, Presley e Johnson, Vaughan e Van Zant.
Nella
pausa centrale veniamo avvicinati per pacche e complimenti. Un armonicista
mi chiede se abbiamo bisogno della sua opera. Poi però ammette che non si
è portato gli strumenti. Ad un mio imbarazzato accenno ad utilizzare le
mie, replica con un freddo sorriso che l’armonica è uno strumento
“troppo intimo” per essere condiviso. Quindi conclude che, purtroppo,
deve proprio scappare, lasciandomi con una massiccia perplessità: se non
aveva né tempo, né armoniche, cosa voleva veramente?
Finito
il concerto, compilato l’inevitabile borderò, ci si saluta scoprendo
che la gelida notte ha ghiacciato motori e parabrezza. Per un attimo mi
viene in mente di ammazzare il tempo dello scongelamento con una adeguata
citazione, la parodia dantesca “L’Inferno di Topolino”, là dove si
parla della diaccia palude dei traditori: “Io chiesi ad un di lor: quali
peccata – devi scontare immerso in questo vasto – pantano, freddo come
una cassata?”
Ma
colgo sul viso di Andrea i postumi dello shock di inizio serata e,
giudiziosamente, mi taccio: sarà per un’altra volta. Stasera il ragazzo
ha già dato.
18/11/05
OSPITI
D'ONORE
Isabella
Basso:
...le
tonanti vibrazioni di un basso, l’incedere sornione di una chitarra, i
metallici acuti di un’armonica, il generoso pulsare di una batteria, il
grintoso gorgheggio di una chitarra solista e l’alternarsi di due voci
imperiose - e finalmente la formazione è finita, e il mio periodo con
essa... - quattro sacerdoti ai quali se ne aggiunge per alcuni momenti un
quinto, andando a rinforzare il pure già nutrito arsenale di chitarre
elettriche presente sul palco.
Mentre
l’implacabile, inesauribile, incontentabile leader si fa
cavallerescamente da parte (anche perché il ruolo di chitarra solista non
è il suo, ma solo per questo, altrimenti non avrebbe esitato a gettarsi
nell’agone!), gli assoli del titolare e del nuovo arrivato, o se
preferite del campione e dello sfidante, si alternano strappando i
rispettivi applausi, in un fiorire di note e di rivalità. Rivalità che
sfocia in un duello privato tra i due al manico di chitarra, con tanto di
inseguimento fra i tasti, sotto gli occhi dell’altra componente del
gruppo munita di corde, che termina la propria parte e poi attende
paziente, perché ormai nessuno se la fila più. Il duello prosegue a
tutto vantaggio del pubblico e a discapito del povero batterista, che è
costretto ad assecondare forsennatamente i due contendenti e ad un certo
momento con una punta di disperazione sembra quasi che non sappia più
dove battere. Infine
la parità che suggella lo scontro è accolta da un fragoroso ed
entusiastico applauso, e i duellanti accolgono i frutti del loro sudore
con un sorriso. Dopo la guerra la pace, dopo la battaglia si va a brindare
insieme, come da buona tradizione musicale. E, adesso che lo noto, anche
rugbystica. In fin dei conti, questi non si chiamano
forse “terzi tempi”?
...e
Serena Oggero:
Il
blues dei bluestyle fa bene agli occhi perché riempie.
Quando
guardi qualcosa, vedi sempre qualcos’altro in contemporanea che non
era previsto, un gesto della tipa seduta alla tua destra che si sistema
gli orecchini, un uomo che cammina frettoloso con qualche borsa in
braccio, una foglia che svolazza, un’auto a fari spianati. Con la coda
dell’occhio. C’è un particolare inatteso che si infila nella tua
personale visione e ti ruba una piccola parte del campo visivo, molto
molto piccola, badate, ma pure non nulla, di misura nulla ma non
identicamente nulla, direbbe sciuto, una scheggia microscopica che
rovina la perfezione. E questo perché i tuoi occhi vedono oltre il
diritto, sui fianchi, e anche perché la tua testa comanda di guardare
un po’ ovunque, sarà magari una difesa inconscia, o forse sono io che
sono fatta male e voglio sempre avere tutto sotto controllo e estendo a
più gradi possibile il mio spazio di osservazione.
Invece
i bluestyle riempiono. Vedo la musica che avanza, danza, ondeggia,
fluttua in modo denso e insieme leggero, delicato e insieme vigoroso,
trascinante e rilassante, la vedo, mentre disegna qualche prateria
assolata e qualche baretto di periferia in penombra, e crea il buio
malinconico di un palco dopo lo spettacolo e poi la luce assordante di
una spiaggia bianca a mezzogiorno, la vedo, questa musica imperante, che
domina tutto quanto, la vedo, e non vedo nient’altro.
Calvin e hobbes
E
infine arriva la fine. Purtroppo, dico io, menomale, dice il mio
orologio biologico, che già sospira il caldo soffocante di tre trapunte
sovrapposte e la luce del lampione proiettata sul soffitto.
Un
piccolo calvin pacioccoso e dispettoso dirige il traffico degli
strumenti, occhieggia chiedendo spazio, rilanciando il finale, giocando
con la sua chitarra scura come calvin che si nasconde nell’armadio e
diventa stupendoman, i capelli smossi dal suo stesso movimento largo, le
mani grandi corpose che scuotono la chitarra e sembrano volerla
strizzare per tirar fuori anche l’ultima nota, come calvin che
pastrocchia con la neve e imbratta la malcapitata babysitter rosalyn,
poi cresce pian piano il suo fervore, amplifica i suoni e si spalanca in
una frase gridata, lunga calda spessa, calvin che esplode in urla di
sfogo e gioia limpida da bambino dichiarato.
Un
signorile hobbes aspetta invece con grande pazienza, sorregge il gioco e
le emozioni, costruisce i ricami nascosti, dà qualche saggio consiglio
per salvare la testa del piccolo calvin passionale, coglie al volo
l’occasione di ogni risalita e fa emergere quasi di nascosto la sua
importanza, un gesto poco eclatante ma indispensabile, per poi tornare
silenzioso, tigre di pezza, un attimo prima compagno di scherzi, un
attimo dopo statico senza parola, e poi di nuovo si rigetta nella
mischia, questa volta per primeggiare, non più in sordina, hobbes che
sta a guardare e sorreggere per tre vignette, e all’ultima spunta su
con una roba che ti lascia spiazzato, come ha ragione sempre hobbes!,
gorgheggiano gli acuti sulla sua chitarra sottile e le dita lunghe
scrivono qualcosa di diverso ancora, hobbes che cambia l’umore di
tutte le cose.
Calvin,
il ragazzino, vuole la scena e l’ultima parola, hobbes, il signore,
gliela concede, preparando la strada con una delle sue battute
chiarificanti.
E
così finisce, il concerto dei bluestyle, con calvin e hobbes che
chiudono insieme in una nuvoletta comune, volanti sul bordo
inconsistente della tavola, sorridenti soddisfatti e anche un poco
furbetti, come il bambino terribile e la tigre di pezza vicino al titolo
di ogni loro storia.
Home:
www.bluestyle.org