NO!
Concerto Orange Floyd - Pronto Soccorso 11/09/09
"Allora
aspettiamo di leggere la recensione!" mi fa Pino speranzoso e
con un sorrisone largo così. Ma io lo gelo subito. Non se ne parla
nemmeno. Non sono mica condannato a scrivere Novantesimi Minuti a ogni
concerto, ogni incontro, ogni nota suonata da amici,
che diamine! Chi sono io, il piccolo scrivano fiorentino? (o
piemontese, o marchigiano, o sloveno, se vogliamo essere pignoli con
il mio sangue e le mie origini) No! Fra l'altro, lo sanno tutti che
i Fenicotteri Rosa non sono certo il mio gruppo preferito ed io
sbuffo alle loro atmosfere languide, al loro beat sempre uguale,
ipnotico, soporifero. L'unico pezzo che amo incondizionatamente è
Lucifer Sam ("Quel gatto ha qualcosa che non riesco a
spiegare…") Cosa dovrei fare? Sprecare uno dei miei resoconti
su di loro, sottraendolo al sacro blues? No, nemmeno una riga!
E
poi ce l'ho con Pino, me ne ha combinata una di troppo stasera. Pino
è un bravo ragazzo, ma intanto è noioso. Mi ha scassato i marroni
descrivendomi nei dettagli, tutto infervorato, la sua ultima
stratocaster assemblata, sfumatura a due colori (yellow-to-black, è
la definizione originale), con manico e corpo vintage, i due Texas
Special al centro e al manico, il mini humbuckin' al ponte, ha
sottolineato persino il battipenna originale, per non dire di come
si è sbrodolato sul suo nuovo ampli HiWatt, un 50 watt di grinta e
pulizia, se vogliamo un colpo di genio del suo costruttore, Dave
Reeves (tragicamente scomparso nel 1981) che è riuscito a evolvere
il classico concetto di british-stack ad alta potenza tipo Marshall.
Gli HiWatt originali, è vero, sono amplificatori con una timbrica
corposa e pulita di assoluta qualità che non ha mai tradito i suoi
possessori (Pink Floyd, ovviamente; e poi Rolling Stones, ELP,
Jethro Tull e, naturalmente, Who). Ma lui, cosa crede, che me ne
freghi qualcosa? Se c'è una categoria che non sopporto, sono questi
chitarristi malati (sì, malati, e mi spiace se qualche permaloso
mandolinaro si offenderà) che hanno un bisogno coatto di cambiare
sempre ascia e attrezzatura, in un tourbillon di compra-vendite,
alla ricerca dello strumento perfetto, o semplicemente per provare
l'emozione di lucidare periodicamente il nuovo giocattolo (e
lasciamo perdere le scontate implicazioni freudiane sul simbolismo
di uno strumento col corpo di donna in cui si innesta un lungo
rigido manico.) Bah.
Ma
non è questo il punto. Il fatto è che Pino suona come vorrei
suonare io. Non lo sopporto. Quei suoni lunghi e tirati, che in un
attimo diventano arrembanti riff sulle corde basse o ruvidi accordi,
o cristallini arpeggi della sua Telecaster nera. Quella ricerca
maniacale del suono, condito da quel tappeto di pedali che sfiora,
preme, schiaccia, inserisce nevroticamente in continuazione,
inseguendo "quelle" vibrazioni che l'ossessionano, che
nascono e pulsano nella sua testa prima di liberarle nell'aria. Non
mi piacciono i Pink, l'ho già detto. Così, non avendo altro da
fare, ho passato tutta la serata (tutta-tutta, bis compreso) a
fissare le dita di Pino, a inseguirle sui tasti mentre scolpivano i
suoi assoli, mentre davano forma a quei fantasmi rosa, ritrovandomi
turbato, inquieto, incazzato. In una parola, invidioso.
E
così niente "90° minuto" per Pino e i suoi Orange Floyd,
è deciso. Chi proprio voglia, si vada a rileggere quello
di due anni fa: è sul mio sito, accidenti! Chi sono io, un
velinaro, una penna a comando?
E'
un peccato, però. Mi spiace soprattutto per Luigi, che si
meriterebbe (lui, almeno) un generoso commento sul suo ruolo di uomo
d'ordine, colui che è riuscito a trasformare uno strumento composto
da pezzi rotondi in cornici di acciaio quadrato, i confini entro cui
tutti gli altri devono stare, l'urlo del sergente che scandisce il
passo. Ma non solo. In Sorrow (… non amo e non conosco i Pink
Floyd, vi ho detto. Di tutta la scaletta della serata ho
riconosciuto solo Astronomy Dominè, prima traccia del primo album,
il Pifferaio alle Porte dell'Alba; The Wall, ovviamente; Echoes, che
le Arance hanno inspiegabilmente accorciata rispetto ai 23'22"
dell'originale, ma anche rispetto ai 16'31" dell'omonima
compilation; e poi… ah, già:
Shine On You Crazy Diamonds, Money, Wish You Were Here, Time,
Breathe; le ultime di Gilmour, e solo grazie a Luigi e ai nostri
venerdì sera, e poche altre) … in Sorrow, dicevo, Luigi mi faceva
prendere uno s-ciopòne con le sue rullate sospese: ta-ta-tan
ta-ta-tan ta-ta-tan (pausa… un istante congelato nel ghiaccio
dell'inferno…) tan, tan! Quella brutalità con il Tempo, con il
Ritmo, che il buon Luigi piegava ai suoi voleri, che prendeva e
posava con la grinta di Gengis Khan, che dominava con la precisione
di un robot di Asimov. Grande Luigi! Peccato: un Novantesimo se lo
meriterebbe (oltre che come ciclista, intendo).
A
essere sincero un po' mi rincresce anche per Luca che mi ha colpito,
oltre che nel ruolo di Tessitore di Intriganti Atmosfere e
Comandante della Tecnologia Memorizzata, per il suo sempre più
incisivo ruolo di (seconda) voce solista, ben armonizzata con quella
di Pino e con i morbidi e precisi interventi della new entry
Jessica. Anche Paolo, in fondo (inizialmente vittima di un terremoto
alla testata del suo ampli) l'ho trovato più corposo, pulsante e
autorevole (non solo per la sua consueta eleganza dandy). Luciano
ieri sera ha abbandonato il ruolo di maestro di cerimonie e
presentatore e si è concentrato sui suoi arpeggi, riff e ricami,
particolarmente nitidi sulla chitarra acustica. Insomma, gli Orange
Floyd ne hanno fatta di strada e ieri sera hanno regalato un set
intenso e senza la minima sbavatura, emozionante ed evocativo del
loro gruppo ispiratore.
Ma
è inutile che insistiate ragazzi: questa volta non c'è trippa per
gatti. Ho detto NO, niente Novantesimo! E chi sono io? Babbo Natale?
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