PROFONDE
SON LE RADICI: SLOVENIA
“Mia
nonna era yugoslava, suo marito marchigiano. Gli altri nonni,
piemontesi. Negli ultimi anni della sua vita, già ottantenne, mi
regalò un libro di poesie slovene ed io pretesi che mi ci
scrivesse, come dedica, la frase, arguta ed ironica, che era solita
dirmi:
“A
Franco, mio diletto nipote, perché è tanto bello essendo di razza
bastarda. Nonna Leopoldina”.
E’
appena il caso di osservare che la mia bellezza trovava spazio solo
agli occhi stanchi di una nonna allegra.”
(Musica
Amore Mio, pag. 144)
*
* *
“Non
ho capito il vostro nome” interloquì Dawn, interrompendo di
accarezzare uno dei tanti cani che le razzolavano festosamente
intorno, usando il tono inequivocabilmente ruvido di chi sa
benissimo che l’altro non si è ancora presentato.
“Il
mio nome! Eh, potete scegliere, amici miei: qui potete chiamarmi
Franck, ma in Italia mi faccio chiamare Brennus, fra i Mauri uso il
nome Hannibal e in Illiria sono Joannes.”
“Viaggiate
dunque usando nomi falsi?” si lasciò scappare Andorius un po’
frastornato.
Lo
straniero assunse un atteggiamento addolorato e offeso.
“Caro
Andor – esclamò – come potete pensare questo di me?!
Assolutamente no: sono tutti nomi che mi impose mia madre e con cui
sono stato battezzato. Sono tutti miei. Comunque, quello che uso di
più è Franck e sappiate che da noi significa sincero e schietto
come una lancia!”
“Una
notevole serie di nomi – sorrise Barbadoro – Come mai i vostri
genitori ne furono così prodighi?
“In
tutta onestà e con la sincerità che mi contraddistingue – sospirò
l’altro – vi dico subito, o Silente, che mio padre non ne sa
nulla. Conoscete quella vecchia ballata, vero?
‘C’era
una bella ragazza – giunse da lontano un cavaliere – l’amò e
cavalcò via.’
Ecco,
andò più o meno così. Nei racconti di mia madre lui era davvero
un bel cavaliere, con fieri mustacchi e la lingua sciolta e
suadente. Non so se venisse da Lutezia, la celtica città dei Parisi,
ma pare che fosse comunque diretto là. Questo suggerì a mia madre
il primo nome. Il secondo è quello del mio nonno materno, un musico
girovago latino che nel suo vagabondare capitò in Illiria dove
conobbe e sposò mia nonna e ne derivò il quarto nome, dal mio
bisavolo, credo, o giù di lì. Hannibal, infine, mi fu dato in
segno di rispetto e riconoscenza poiché era il nome di un generoso
amico della mia famiglia che si prese cura di mia madre e di me
quand’ero infante.
Sì
signori – riassunse allegramente – sono un crogiuolo di razze
diverse e non conobbi mai mio padre: sono di pura razza bastarda,
come mi diceva ridendo mia nonna. Ma i bastardi, voi lo sapete – e
guardò con intenzione Dawn – sono spesso più svegli, più onesti
e più di cuore del figlio primogenito di un re.”
(La
Porta di Samain – episodio “Lo Straniero”, pag. 121)
*
* *
Ho
sempre ironizzato sui miei tanti nomi (Franco, Annibale, Giovanni,
Brenno) e sul mio sangue meticcio, ma finora non avevo mai trovato
l’ispirazione per andare a respirare la mia matrice yugoslava, o,
com’è politically correct dire oggi dopo i frantumi balcanici,
slovena. L’idea si insinuò lentamente esaminando le proposte
turistiche che proponeva il web, poi stimolato dal viaggio di
un’amica in quelle lande. Così, all’inizio della mia New Life,
quel periodo della vita in cui ti ritrovi con più tempo a
disposizione delle tue curiosità, organizzai il viaggio. Le radici
di mia nonna affondano a Idrija, una cittadina incastrata in una
conca delle Prealpi slovene, famosa per la sua miniera di mercurio,
per un secolo la seconda nel mondo, a cui si accede per una contorta
strada in una stretta gola, roba da spezzare la schiena ad un
serpente! Ma, preoccupato di seppellirmi in quel cul-de-sac,
preferii stabilire il campo base nella turistica Bled, piccolo lago
al nord-est, zona di passeggiate, sport alpini, terme e casinò.
Prenotai per tempo una sistemazione agli “Apartments Poldi”,
scelti soprattutto in quanto nomignolo di mia nonna. Paradossalmente
questo aprile piovoso impedì di gustare appieno le bellezze
naturali di Bled, così decidemmo di visitare per prima la capitale
Lubiana.
In
sloveno “Ljubljana” suona quasi come “amata” ed in effetti
è stato un colpo di fulmine. Appena risaliti dal comodo parcheggio
sotterraneo nella centrale Piazza del Congresso, con l’Accademia
musicale, la splendida Università, i consolati stranieri, l’ampia
mole del cinquecentesco castello che controlla e protegge la città
dall’alto della collina, ammetto che rimasi senza fiato e con un
groppo in gola rendendomi conto che, in qualche modo, la mia storia
era legata a quei luoghi. Città pulitissima (come tutta la
Slovenia, del resto), con il quartiere storico tenuto perfettamente,
le case e i monumenti conservati al meglio, organizzata e
accogliente, ma non sfacciata. L’architettura mitteleuropea
richiama Parigi, Vienna, Praga; le dimensioni contenute del suo
centro storico ne permettono una visita accurata, l’aria che vi si
respira è quella di una città moderna, ricca di cultura (e di
studenti), attenta al passato, ma con naturalezza, senza eccessivo
compiacimento. Siamo passati e ripassati sul Triplice Ponte, tre
passerelle distinte e ravvicinate sul fiume Ljublijanica, che
collega la centrale piazza Presernov con la zona più interna del
Municipio e del castello. Abbiamo annusato le botteghe d’arte
seminascoste nei cortili storici, accarezzato cani di ogni razza e
taglia, ma in genere ben pasciuti. Abbiamo alzato lo sguardo su
giovani valchirie dal passo veloce e lo sguardo limpido, abbiamo
scandito il tempo con la torre del Teatro delle Marionette, in
piazza Krekov, da cui
ad ogni ora escono l'eroe Martin Krpan e la sua cavallina, con cui
trasportava fra le montagne il prezioso sale.
Abbiamo sostato intimoriti
davanti ai quattro possenti draghi del ponte del Giubileo. La
tradizione vuole che le belve, simbolo della capitale slovena,
agitino la coda quando sul ponte passa una vergine. La loro abituale
immobilità la dice lunga sulla libertà di costumi delle fanciulle
del luogo.
Idrija
è borgo di montagna, le vie strette e tortuose sotto la pioggia
primaverile. Il castello (la Slovenia è terra di castelli per
definizione) è sede del museo, dedicato all’attività di
estrazione del mercurio, alla storia locale, all’arte dei merletti
al tombolo. Il cognome di mia nonna lo si incontra ancora nelle
insegne dei negozi che espongono i preziosi pizzi. Scrutiamo le foto
di inizio secolo (l’altro) nella sezione dedicata alle
associazioni locali nella speranza di rintracciare il lampo di due
occhi un tempo a me ben noti. La foto che mi riprende con lo sfondo
del cortile del castello esprime chiaramente la mia commozione
nell’essermi finalmente ricongiunto con queste mie radici (i
Cancri, si sa, sono fortemente abbarbicati al loro passato, da cui
traggono sicurezza e ispirazione). Il ristorante consigliatoci per
assaggiare la specialità locale, gli zlikrofi, agnolotti ripieni di
patate e gusti vari, golosamente conditi con sughi, ragù, panna,
funghi, si chiama “Barbara”, il nome di nostra figlia. Tutto
torna.
Sono
sloveno per un quarto. Ho il sospetto che sia il quarto superiore
sinistro, quello che comprende mezzo cervello e quasi tutto il
cuore.
18/04/2012
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