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Tracklist:

  1. Twice as Hard

  2. Jealous Again

  3. Sister Luck

  4. Could I've Been So Blind

  5. Seeing Things

  6. Hard to Handle

  7. Thick N' Thin

  8. She Talks to Angels

  9. Struttin' Blues

10. Stare it Cold

 

 

THE BLACK CROWES - Shake your money maker

(Def American Recording, 1990)

 

- Con questa recensione al calor bianco inizia la collaborazione di Paolo Mola -

 

I Black Crowes sono senz'altro il gruppo portavoce della rinascita del southern rock e ne sono i massimi fautori, benché non i primi. Altri, infatti, si erano mossi prima di loro, durante tutti gli anni '80, ma soprattutto nella loro seconda metà. Nel mucchio vi erano validi gruppi come Jason and the Nashville Scorchers, The Georgia Satellites e grandi outsiders, alle prime armi come Steve Earle ed altri che invece operavano già dai primi anni '70 come John Hiatt. Ma il gruppo che davvero riapre le frontiere del southern e di tutto il rock di matrice classica, sono loro, i Black Crowes.

 

Il gruppo muove i primi passi già nel lontano 1984, ad Atlanta, sotto il nome di Mr. Crowe's Garden e guidato dai fratelli Chris (voce) e Rich (chitarra) Robinson, che tentano di emulare le gesta del padre che trentun'anni prima aveva raggiunto la classifica grazie al singolo Boom-A-Dip-Dip.

Nel 1988 assumono il nome attuale dopo aver assistito a numerosi cambi di formazione (tre chitarristi e sei bassisti) prima che il gruppo assumesse la forma attuale e smuovono la curiosità del produttore George Drakoulias che li fa approdare alla Def American, casa discografica di riferimento per tutto il rock americano degli anni novanta.

Il debutto discografico della band è a dir poco eccezionale, un disco strabiliante, feroce rock'n'roll dalla prima all'ultima traccia, che esce dagli amplificatori come il sangue da un'arteria recisa, chitarre stridenti a tutto volume e Chris Robinson che urla con tutto il fiato che ha in corpo.

I Black Crowes sembrano neri angeli mandati dall'alto per scuotere il mondo e il loro frontman il messia, investito del ruolo di salvatore della tradizione rock. Il sound è aggressivo, intriso di atmosfere southern, arso di soul e gospel e piace molto al pubblico, tanto da essere proiettato al quarto posto, grazie al singolo Jealous Again e all'incendiaria versione di Hard to Handle di Otis Redding, che fa piazza pulita sbancando le classifiche e diventando subito una hit, mentre la copertina fa respirare atmosfere squisitamente sixtie.

 

La canzone che apre l'album è Twice As Hard. C'è una piccola introduzione di chitarra e poi una scarica elettrica ci catapulta bruscamente in un rock aspro e vorticoso. Ma l'adrenalina non cessa di scorrere, ed ecco che segue a ruota la bella Jealous Again. I primi bagliori di southern rock vengono fuori in Sister Luck, una bellissima canzone che ricorda molto i Lynyrd Skynyrd, dopodiché è il turno di Could I've Been So Blind.

Il ritmo cala e si fa più lento e l'atmosfera si carica di sentimento con un'appassionata e sconsolata Seeing Things. Poi è la volta di Hard to Hadle, dove i Corvi Neri liberano tutti i loro decibel e la loro grinta, il ritmo è incalzante, le chitarre addentano l'aere ed un pungente assolo fa ribollire il sangue nelle vene, il corpo non risponde più e si scioglie in movimenti convulsi e rabbiosi, suonando una chitarra immaginaria o picchiando un'inesistente batteria... una canzone da mettere su a tutto volume!

In Thick 'n' Thin, la band manda il batterista, Steve Gorman, a schiantarsi con la macchina contro il bidone dell'immondizia, nel parcheggio sul retro dello studio di registrazione, mentre un riff di chitarra dobro apre la stupenda She Talks to Angels, una lisergica ballata dove si raggiunge l'apice del sentimento, chitarre ed organo si mescolano e Chris Robinson tortura le corde vocali in un orgasmico grido.

Un'apertura che sfiora l'hard rock annuncia la potente Struttin' Blues, seguita da un'assordante e sguaiata Stare It Cold, ultimo spazio per sgolarsi e piantare un gran casino prima di congedarsi.

Shake your money maker non è solo un grande disco, ma è l'inizio di qualcosa di ancora più grande, ed è grazie a gruppi come i Black Crowes che oggi possiamo ridere in faccia a chi dice che "il rock è morto".

 

(Paolo Mola)