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un'assurda Strato di Bo Diddley con batteria elettronica incorporata

 

 

 

 

Eric Burdon

L'ULTIMO GROOVE DEL VECCHIO SCERIFFO

Bo Diddley se n'è andato il 2/6/2008

 

Per due anni e mezzo aveva servito come vice sceriffo nella polizia della Contea di Valencia in New Mexico, dove lo conoscevano non come uno dei fondatori del Rock ("The Originator" era il suo orgoglioso appellativo), ma come un disponibile e generoso signore che aveva donato al corpo anche un paio di vetture di servizio. Bo Diddley era così fiero di questa sua parentesi al servizio della collettività che da allora inalberò sempre sul suo cappello il distintivo del Corpo.

Nacque nel 1928 in Mississippi, studiò violino e poi si dedicò alla chitarra con la quale, nel 1955, sfondò inventando un ritmo tutto suo, l'hambone, ossessivo e sincopato, suonando la chitarra in modo percussivo, come una batteria. La sua influenza sulla nascente scena rock fu enorme; al "suo" ritmo e alla sua esplosiva presenza scenica, sottolineata da chitarre di strana foggia, quadrate, ricoperte di pelliccia, si ispirarono il cantautore Buddy Holly (Not fade away), Elvis Presley, gli Shadows, i Rolling Stones, i Quicksilver, gli Who, gli Animals e su, su, fino agli U2 (Desire), George Michel (Faith), Bruce Springsteen (She's the one) e, ehm... i BlueStyle, riproponendo anche i suoi classici Mona, Who do you love, I'm a man, Pretty thing, You can't judge a book by looking at the cover.

Il soprannome ha origini oscure, forse legato al suo passato di pugile, forse collegato all'immagine di spaccone sciupafemmine che dava di sé nelle sue canzoni.

"Ho percorso 47 miglia di filo spinato - uso un cobra come cravatta

ho una nuova casa sulla strada - fatta di nidi di serpenti a sonagli

sopra c'è un camino - fatto di teschi umani

allora, vieni a passeggiare con me tesoro - e dimmi: chi è il tuo amore?

(Who do you love)

 

"Non puoi giudicare la mela guardando l'albero

non puoi giudicare il miele guardando l'ape

non puoi giudicare la figlia guardando la madre

non puoi giudicare un libro dalla copertina.

E quindi, vedi amore che mi stai mal giudicando

perchè io sembro un contadino

ma sono un grande amante.

Non puoi giudicare un libro dalla copertina!

(You can't judge a book by looking looking at the cover)

 

Il rock di Bo Diddley, come molta altra musica, subì una battuta d'arresto per colpa dei pregiudizi razziali che preferivano creare slavati divi bianchi come  Pat Boone, Fabian, Ricky Nelson, e alla corruzione dei DJ da parte di certe case discografiche (la cosiddetta payola) che pilotavano i passaggi radiofonici e la diffusione delle proprie canzoni a scapito del rock più nero, energico e genuino (succedeva nel 1960; oggigiorno non più, vero?...).

Bo Diddley è stato nominato nella Hall of Fame del rock nel 1987.

Ma ora lascio la parola ad un'ironica canzone, quasi un rap, di Eric Burdon degli Animals (non nuovo a raccontare in musica la storia della musica stessa inglobandone all'interno spezzoni di altri brani e stili: si ascoltino Monterey e Winds of change), che, sul famoso ritmo di Bo Diddley ne narra la storia e il loro primo incontro.

 

Ascoltate la storia di Bo Diddley e della scena rock in generale.

Bo Diddley nacque Elias McDaniels in un posto chiamato McComb in Mississippi intorno al 1926.

Si spostò a Chicago intorno al 1938 dove cambiò definitivamente il suo nome in Bo Diddley. Si allenava sulla chitarra ogni giorno e qualche volta anche di notte, finché i capelli del suo papà divennero bianchi. Suo padre gli disse: ”Figliolo, stammi bene a sentire: tu puoi restare, ma quella chitarra, ehm… se ne deve andare.” Così Bo si tirò il cappello sugli occhi e si decise a lasciare quei cieli occidentali (credo che questa frase sia di Bob Dylan).

Raggiunse New York City e cominciò a suonare all’Apollo, in Harlem. Bella scena, tutti ci davano dentro. Un giorno… diciamo, una notte… arriva una Cadillac, quattro fanali. Ne scende un tale con un grosso, lungo e grasso sigaro e gli fa: “Vieni qui ragazzo, io farò di te una star.”

Bo Diddley fa: “Sì, ma io cosa ci guadagno?”

L’altro fa: ”Chiudi quella boccaccia, bimbo, e suona la chitarra. Aspetta e vedrai.”

Bene, Bo lo fece e divenne davvero un grande e così il resto della scena rock insieme a lui.

Ma nella scena musicale USA ci furono grandi cambiamenti dovuti a circostanze fuori dal nostro controllo, come la "payola". La scena rock 'n roll morì dopo due anni di solido rock. E potevate sentire lagne come: "Take good care of my baby -  Please don't ever make her blue" e avanti così.

Più o meno un anno dopo, in un posto chiamato Liverpool, in Inghilterra, quattro giovanotti con i capelli a zazzera cominciarono a cantare roba tipo: "It's been a hard day's night - and I've been workin' like a dog" e così via.

In un posto chiamato Richmond, nel Surrey, laggiù nel profondo sud dove i ragazzi portavano lunghi capelli sulle loro spalle, si cantava: "I wanna be your lover, baby - I wanna be your man, yeah".

Bene, noi stavamo facendo questo numero “Bo Diddley” da un po’ di tempo quando Bo Diddley visitò il nostro paese l’anno scorso. Noi stavamo suonando al “Club A-Go-Go” in Newcastle, la nostra città, e una sera le porte si aprirono e con nostra sorpresa si fece avanti proprio lui, in persona, Bo Diddley. Con lui c’era Jerome Green, il suo suonatore di maracas, e la Duchessa, la sua splendida sorella.

Be’ noi stavamo facendo il nostro numero e vediamo entrare dietro a lui i Rolling Stones e i Mersey Beats. Tutti se ne stavano lì intorno ad ascoltare ed io sentii Bo Diddley parlare. Si girò verso Jerome Green e disse: “Hey Jerome: che ne pensi di questi qua che fanno la nostra musica?”

Jerome rispose: “Uh, ho bisogno del bar. Per favore, amico, dimmi dov’è il bar.”

Si girò verso la Duchessa e disse:

“Hey Dutch. Che ne pensi di questi giovanotti che fanno la nostra musica?”

Lei disse. “Ma, non so. Io sono venuta fin qui per vedere il cambio della guardia e quelle cose lì.”

Bo Diddley si girò verso di me e disse… con gli occhi socchiusi e un sorriso, disse: “Uomo...”

Si tolse gli occhiali. Disse: “Uomo: questo è senz’altro il più grosso cumulo di stronzate che ho mai sentito in vita mia!” (Eric Burdon - Story of Bo Diddley)