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Tracklist: 1. Money Talks 2. Girls Like That 3. Wrong Man 4. Rapture Of The Deep 5. Clearly Quite Absurd 6. Don't Let Go 7. Back To Back 8. Kiss Tomorrow Goodbye 9. Junkyard Blues 10. Before Time Began
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DEEP PURPLE - Rapture of the deep (EDEL, 2005)
La prima domanda che si pone un vecchio amante dei Porpora è: ma senza la Stratocaster di Ritchie Blackmore e l’Hammond di Jon Lord, senza i due padri fondatori, senza i loro assoli, si può ancora parlare di Deep Purple, o forse sono diventati qualcos’altro, un altro gruppo, degli impostori sotto mentite spoglie? La risposta arriva subito, nel riff di Girls Like That che più Porpora non si può, nella sdrucciolosa voce di Ian Gillan che si arrampica su vetri ripidissimi, nella confermata abitudine di firmare i pezzi tutti insieme a sottolineare che i Deep Purple non hanno e non vogliono avere (o riconoscere) un unico leader, nel sound globale dei pezzi costruito sulla potente ritmica di Ian Paice e Roger Glover, trampolino alla superba tecnica chitarristica di Steve Morse e di un Don Airey che all’Hammond non fa rimpiangere il Signore. Sì, amici: sono ancora i Deep Purple, dinosauri dell’hard rock in eccellente salute, all’ennesimo giro di boa, all’ultima scommessa vinta.
L’album del Rapimento richiama in più occasioni i Porpora di due periodi d’oro: Kiss Tomorrow Goodbye sembra estratta dalle sedute di Fireball (1971), mentre le scale orientaleggianti di Money Talks, o l'andamento di Rapture of The Deep ci richiamano alla mente il grande ritorno di Perfect Strangers (1984) con un organo ossessivo su un ritmo spezzato. Altri brani invece non pagano nessun tributo al passato e suonano moderni e attuali; Back to Back, ad esempio, un rock con influenze R&B ed un vertiginoso assolo di Steve che per incanto si trasforma in una frenetica cavalcata di Don. Oppure Don’t Let Go, quasi un latin-rock ballabile che invita a unirsi al coro. Un discorso a parte per Clearly Quite Absurd che, a metà album, introduce un momento di riflessione con una ballata per cui c’è chi scomoda Eric Clapton o Mike Oldfield, mentre a me piace trovarci echi dei Caravan e dei Camel, della musica progressive dell’area di Canterbury negli anni 70/80 a testimonianza che questi Deep Purple hanno anche altri colori nella loro tavolozza. Junkyard Blues è un rock tosto e senza compromessi con Steve Morse impegnato in scale liriche ed emozionanti intercalate dai fraseggi di Don Airey al piano. Una parola anche sui testi che riescono a trovare il loro spessore, per esempio in Before Time Began: “Ogni giorno della mia vita scopro / qualcuno che ammazza le mie sorelle e i miei fratelli / in nome di qualche dio… Ognuna di queste idiozie diventa legge / e noi abbiamo dimenticato cosa stavamo cercando”. Non sarà rock-politik, ma certo è ben di più della rima "cuore/amore". Per chi non lo sapesse Steve Morse, chitarrista eclettico e dotato di una tecnica eccezionale, con i suoi 51 anni, americano dell'Ohio, è il giovane di bottega di questo gruppo anglo-scozzese che, con Led Zeppelin e Black Sabbath, quasi 40 anni fa tracciò le strade dell’hard-rock. Don Airey, invece, virtuoso dell’organo Hammond, in 25 anni ha suonato con Rainbow, Jethro Tull, Colosseum II, Ozzy Osbourne, Whitesnake, Electric Light Orchestra, Tony Iommi, Judas Priest, Michael Schenker, UFO e l’elenco potrebbe continuare. Eppure, pur con musicisti di questa levatura, nei Deep Purple l’insieme è superiore alla somma delle parti e ciascuno mette il suo talento al servizio di un progetto musicale e di un suono specifico. Rapture of the Deep non sarà Machine Head e non aspettatevi un’altra Smoke on the Water. Ma non deluderà i fans del Profondo Porpora. Neppure i più esigenti.
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