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Oggi parliamo di...

I BlueStyle - Il Cantautore - I Recitals - Chitarre - Parliamo di...

 

 

 

Tracklist:

 

01. Disintonation
02. Valley of the Pharaohs
03. Ghosts of 42nd Street
04. Little Miss Strange
05. Back on Terra Firma
06. Riddler's Journey
07. Danger Man
08. Le Journée Des Tziganes
09. Mr. Natural
10. Axe to Grind
11. Deiter's Lounge
12. Almost Dawn
13. Bucket of Fish

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

The HELLECASTERS - Essential Listening Volume 1

(HighTone Records, 2002)

 

Per tanto tempo mi sono e mi hanno chiesto perché sono così orientato verso la musica anglosassone e snobbo quella italiana, salvo poche eccezioni. Ci ho pensato a lungo e sono giunto alla conclusione che dipende dal fatto che la musica italiana è soprattutto "cantata", mentre quella anglosassone è più "suonata", cioè mette su un piano di parità lo strumento ed esalta l'abilità dell'esecutore, la tecnica, lo studio, dando pari dignità all'assolo rispetto al canto. E poi, lo ammetto, amo gli strumentali, le atmosfere, le pennellate che le sei corde possono creare lasciandoci liberi di immaginare storie e scenari cinematografici.

Così dedico questa scheda a un trio di chitarristi superbi, eccezionali quanto poco noti in Italia, degni eredi dei primi eroi della chitarra elettrica e intendo Duane Eddy e la sua Gretsch dal suono profondo e riverberato, gli Shadows di Hank Marvin esplosi nel 1960 con Apache, i Ventures e le loro melodie spigolose, tutti i gruppi da "un colpo", un successo e poi l'oblio, come i Tornados di Telstar, i Chantays di Pipeline, i Champs di Too Much Tequila e 20.000 Leagues, gli Aiglons di Stalactite, gli Islanders di Enchanted Sea/Mare Incantato. E poi un gigante del blues strumentale come il texano Freddy King e la sua HideawayRoy Buchanan e la sua Telecaster strapazzata e miagolante, lo sfortunato Danny Gatton, suicida per una crisi depressiva, chitarrista amato dai suoi colleghi (di cui riusciva a imitare senza difficoltà ogni fraseggio) ma che mai raggiunse la meritata popolarità. E ancora Ronnie Montrose e un album come The Speed Of Sound, o il progetto Guitar Speak che presentava solo strumentali di chitarristi come Alvin Lee (Ten Years After), Eric Johnson, Leslie West (Mountain), Pete Haycock (Climax Blues Band), Steve Hunter, Robby Krieger (Doors). E l'elenco potrebbe continuare.

 

The Hellecasters è la sigla sotto cui si sono riuniti nei primi anni '90 tre virtuosi session-men di Nashville, votati più volte "chitarrista dell'anno" dalle riviste di settore, con un curriculum di collaborazioni impressionante: John Jorgeson (Desert Rose Band, Bob Dylan, Elton John, Bob Seger, Bonnie Raitt); Jerry Donahue (Fairport Convention, Joan Armatrading, George Harrison, Elton John, Robert Plant, Roy Orbison); Will Ray (Tom Jones, Solomon Burke, Joe Walsh) 

Il nome, dicono, nasce dalla loro dichiarata intenzione di tirar fuori l'Inferno dalle loro Tele- e Strato-Caster. In effetti usano solo queste  chitarre dal suono cristallino e la Fender ha creato ben sette modelli a loro nome (più che per qualunque altro gruppo dal 1950 a oggi) modificati secondo le loro esigenze. In seguito utilizzeranno anche strumenti marca G&L, la società fondata da George Fullerton e Leo Fender dopo che Leo aveva venduto il suo più storico marchio. 

Le tecniche dei tre eroi si differenziano: John è più rock, capace di scale al fulmicotone e timbriche mordenti; Jerry il più country ed utilizza un personalissimo tipo di vibrato ottenuto premendo le corde fra il capotasto e le meccaniche (il "Re dei Tira-corde del Pianeta" lo chiamò Danny Gatton); Will il più blues, utilizzando una Telecaster che incorpora il B-bender, un meccanismo situato dietro il ponte che altera a comando l'intonazione della seconda corda (B=Si, secondo la connotazione anglosassone), oltre ad ottenere indescrivibili effetti usando contemporaneamente due ditali d'acciao infilati al medio della mano sinistra e al mignolo della destra. Tutti utilizzano plettro e dita e il risultato è una cascata di note squillante e funambolica.

Il solo ascolto non aiuta a capire come riescano a prodursi in questi assoli; meglio goderseli in un video, magari quello registrato dal vivo al noto pub tedesco Ohne Filter, oppure quelli didattici di Jerry Donahue e Will Ray.

 

Hanno realizzato tre album: The Return Of The Hellecasters (1993) è stato votato dalla rivista Guitar Player "Album Country dell'Anno", mentre Guitar Shop Magazine l'ha dichiarato "Album dell'Anno", senza tanti distinguo! Escape From Hollywood (1995) invece è "Miglior Album dell'Anno" per i lettori di Guitar Player Magazine. Infine Hell III: New Axes To Grind (1997), che propone in copertina i primi tre modelli Fender a loro nome.

Il titolo che vi propongo in questa scheda è invece una compilation uscita nel 2002 e che attinge dalla scaletta degli album precedenti, più due inediti. Le note di copertina permettono di seguire e identificare ciascun solista.

Tredici strumentali che spaziano fra stili diversi: rock (Disintonation, Back on Terra Firma di Jorgenson), country (Valley of The Pharaos, Axe To Grind di Donahue), swing e blues (Ghosts of 42nd Street, Bucket of Fish di Ray) e una cover di Hendrix (Little Miss Strange).

 

Gli Hellecasters sono tre orologi che ticchettano ritmo e divertimento senza sbagliare un colpo. Cercateli e ascoltateli.

 

 

     Will Ray     John Jorgenson   Jerry Donahue