DALLE
TERRE ALTE ALLA PIANURA PIADINA
Busto Folk 25/9/2009
Il
dubbio è lecito, l'inquietante domanda è legittima: con tutti
questi proclami territoriali e stravolgimenti padani, Busto Arsizio
è diventata svizzera? Mai come quest'anno l'organizzazione di Busto
Folk, trascinata e plasmata dall'atletico e sorridente Umberto
Crespi, è cronometrica e puntuale. Svizzera, appunto. Noi quattro (Angiolina,
Isabella, Bruno ed io) siamo ormai degli aficionados e quindi,
orologio alla mano, possiamo fare dei confronti a ragion veduta.
Diciamo subito che, nonostante oggi non siano in scaletta dei gruppi
poderosi ed emozionanti come i Wolfstone,
i Beltaine o i Barrage
(si vedano le pagine a loro dedicate), la qualità del programma è
tale da sorprenderci così piacevolmente che alla fine decreteremo
questa edizione (appena iniziata mentre scrivo) come la migliore fra
quelle a cui abbiamo partecipato.
Per
motivi top secret, il viaggio avviene sulla piccola ma sincera
Meringa che, non essendo dotata di autoradio, richiede, per
sopportare la pesantezza del trasferimento, un estemporaneo
intervento di musica dal vivo. Eccomi così imbragato sul sedile
posteriore con la mia chitarra tascabile Lazer
ad allietare l'autostradale viaggio con incursioni
pop/rock/country/folk/beat e chi più ne ha più ne metta, con
qualche stupore fra i ruvidi autisti dei Tir che incrociamo.
Arrivati
a Busto ci imbattiamo subito nella puntualissima esibizione dei
quattro Green Chairs Ceili Band, cioè Colm, Tara, Tadhg e Alan
(reduce da un imbarazzante incontro con una pizza farcita in modo
ittico e inaspettato), irlandesi purissimi di Cork, giovani,
simpatici e virtuosi, che alternano assoli strepitosi ai loro
strumenti (uno scatenato bodhran, uno scintillante violino, un
arrembante piano ed una irrefrenabile fisarmonica) a jigs e reels,
seriamente utilizzati nel loro tersicorèo significato da tre solari
bimbette che saltellano entusiaste e concentrate sugli scalini
davanti ai musicisti.
Quest'anno
la rassegna si amplia e riempie, oltre alla storica piazza San
Giovanni, la vicina piazza Santa Maria. Nella prima, il programma
presenta i belgi Et Encore, ruspante e divertente sestetto guidato
dal Nostromo Spugna (blusa a righe bianche e blu, zuccotto in testa
e pancia delle grandi occasioni – e bevute) che si alterna a
chitarra, banjo, dulcimer e voce, dall'Uomo Ragno (dinoccolato
giovanotto dalle lunghe gambe con cui saltella sul palco) al violino
e conchiglie (che sfrega, con un incredibile effetto ritmico
raschiante) e dai più composti e seri basso, batteria, flauto e
fisarmonica. Il gruppo alterna tradizionali irlandesi e alcoliche
composizioni proprie, eseguite mischiando sonorità elettriche e
acustiche e tanta allegria.
Il
gruppo di chiusura della serata sono i bretoni Sonerien Du che
faranno ballare mezza piazza (allenata nel pomeriggio dallo stage
dei Gens d'Ys, i padroni di casa della rassegna, presenti con un
affettuoso video celebrativo della loro pluridecennale attività di
Accademia di danza irlandese) per tutta la durata della loro
sanguigna e potente esibizione. Che siano dei veterani lo si legge
sulle loro rughe e sui loro capelli grigi, sulla loro disinvoltura
strumentale (anche qui strumenti elettrici mischiati a flauto,
violino e cornamusa), ma anche nella musica compatta, carica,
precisa e nel loro gestire la piazza con serena professionalità. La
musica bretone (l'analisi è dell'esperta Isabella) è sempre di
grande impatto e coinvolgimento e rimane a un passo dal diventare
epica e solenne solo per la gran voglia che ha di far ballare la
gente.
Ho
tenuto per ultimo il gruppo rivelazione di questa giornata, i
romagnoli Cisal Pipers, sfacciato quartetto composto da due
cornamuse/flauti, percussioni/piano, batteria e sonora faccia di
bronzo, quella di Domenico "Uxmak" Foschini, trascinatore
del gruppo. Eseguono solo strumentali, ma le parole non mancano e
sono quelle delle presentazioni dei pezzi, una scusa per scherzare,
ironizzare, imprecare e ricordare che la cultura la si fa più lì,
in piazza, riscoprendo radici, valori e umanità, piuttosto che
nella nostra insulsa televisione nazionale.
La
batteria di Marco Galavotti è piena e "armoniosa", rara
qualità per uno strumento che dovrebbe essere solo ritmico. Mauro
Pambianchi, coautore dei pezzi, si alterna a piano e percussioni
varie. La Chiara Temporin (l'uso dell'articolo davanti al nome è di
rigore da quelle parti), come Uxmak, utilizza sia la cornamusa
scozzese, che la piva emiliana, diverse per costruzione e sonorità,
oltre che flauti e tin whistle. I due fiati sono precisissimi e
sincroni e tutta l'esibizione e di grande qualità e coinvolgimento.
E poi ci sono le uscite del Nostro, vistoso per accento, colori e
peli, asimmetricamente distribuiti sul capo, più sotto che sopra...
"Scusate
il mio accento scozzese… veramente noi, più che dalle Terre Alte,
le Highlands, arriviamo dalle Terre Basse, là dove la Pianura da
Padana diventa Piadina…"
"Ehi
tu, laggiù: chiudi bene l'uscio che il vento mi spettina: sira l'os!"
"E'
nata prima la giga o la tarantella? Noi comunque tifiamo per la
prima e, dedicando questo pezzo a tutte le gighe in sala, diciamo:
viva la giga!"
"Le
mamme dei Galli, i nostri antenati celti, dicevano ai figlioletti
disubbidienti: Stai bravo, che se no arriva il pappaGallo!"
"Questa
creatura era proprio brutta, di una bruttezza che sembravano due,
tanto che di mestiere faceva il mostro di Loch Ness."
Con
le loro sacche piene d'aria i Nostri riescono a creare atmosfere
orientali (che io battezzo Arab-Celtic), o roccheggianti (il Piper
Rock), insomma, a creare la CornaMusica, che è poi il titolo del
loro album. Bella musica e belle persone, testarde nel ricordare la
differenza fra valori e mode, fra impegno e acquiescenza, fra
l'ironia del giullare e la seriosità del potente.
Benvenute,
dunque, nella magica cornice del nostro appuntamento preferito:
Busto Folk!
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