MACRAME'
Concerto Traine Mannut - Torino, Cascina Pro Polis 10/05/2013
Macramè:
termine arabo importato nella parlata ligure per indicare un
merletto a nodi, o, più in generale, un pizzo, un ricamo, un
intreccio raffinato. E che qui ci sia parecchio da intrecciare ve lo
dimostro subito. Seguitemi con pazienza e attenzione.
1°
flashback
“Sestriere
1963. (…) Sul pullman c’era uno dei Ragazzi del Sole, il
chitarrista ritmico, Paolo, mi pare si chiamasse. (…) Era in
piedi, appoggiato fra due sedili. Suonava una Eko M/100, una piccola
chitarra a spalla mancante, con le buche ad effe, una economica
imitazione di una chitarra da jazz. Cantava. Canzoni qualunque,
canzoni del momento, canzoni del suo repertorio o a richiesta dei
ragazzi lì intorno. Aveva una voce potente, un po’ nasale, ma
simpatica, coinvolgente. Io ero seduto davanti a lui e fissavo le
dita che si muovevano sulla tastiera formando gli accordi e
sottolineando il canto. Pensavo: “E’ troppo bravo. Non ce la
farei mai a suonare come lui.” Ero affascinato, entusiasta e nello
stesso tempo convinto della mia incapacità.”
(F.Nervo
“Musica Amore Mio” – capitolo 1 – pag.
15)
2°
flashback
“La
formula è “polenta e chitarre”. Alla polenta ci pensa Nello,
con pazienza e abilità. Alle chitarre tutti gli altri, a partire
dal padrone di casa Saverio.
(…) Sette maschi il cui baricentro sono i cinquant’anni,
oscilliamo tutti lì intorno, chi più chi meno. La lingua franca è
il piemontese, usato per lo più per le coloriture, le inflessioni,
la sua buffa sbracatezza a cui si adattano anche i pochi terroni e
meticci presenti. Lo stile della serata è unico e inconfondibile:
una pausa, uno stacco da lavoro-problemi-casini-seriosità-famiglie
e donne. Soprattutto, come vedremo, donne. Nella stanzetta della
vecchia cascina ai margini della campagna alpignanese – ai
margini, diremmo, della vita solita e arcigna – ci si aspetta
quasi di sentire esplodere, prima o poi, l’esclamazione di Gastone
Moschin in “Amici miei”: “Ragazzi, ma perché non siamo tutti
finocchi?!”
(F.Nervo
– New Novantesimi 23/12/2005)
3°
flashback
“La
serata ci riserva altre sorprese. Donata ci propone il suo secondo
gruppo, gli Out Of
Range, con
Umberto Cariota al basso e voce e una giovanissima, sorprendente,
duttile e swingante Elisa Bertero alla chitarra, in un repertorio
cantautorale stelle-e-strisce con venature blues, messo in risalto
dagli arrangiamenti a tre voci. Non è finita. Nell'intervallo
arriveranno i Cordaria, Gaetano Di Caprio e Daniele Camera alle chitarre con
Umberto Cariota al basso, un pizzico di saudade brasiliana, bosse e
odori di jazz.”
(F.Nervo
– dal sito www.bluestyle.org
15/02/2008)
4°
flashback
“Anche
il prolifico Alessandro Del Gaudio è della partita e con “Aurora
d’inverno” ci conduce con lucidità e padronanza
dell’intreccio nel genere fantasy.”
(F.Nervo
– dal sito www.bluestyle.org
1/03/2008)
5°
flashback
“(…)
Ho raccontato questi ed altri aneddoti sulla storia e l’evoluzione
del blues nell’ampia e confortevole sala museale del Cruto, venerdì
scorso, affollata da amici e intenditori mischiando Parole e Musica
in un crescendo che ha visto prima me in un paio di solitari pezzi,
poi l’arrivo di Andrea e della sua sei-corde, poi il supporto del
basso e della voce nera di Marcello e infine i BlueStyle in tutto il
loro splendore. Bella serata, con un pubblico attento e partecipe.
Ma che aggiungere altro? Bravi amici hanno registrato e filmato e
immortalato ogni cosa. Quella serata è ormai Storia!”
(F.Nervo
– dal sito www.bluestyle.org
28/03/2008)
Allora,
tiriamo i fili e facciamo combaciare tutte le tessere del puzzle e i
ricami del tessuto. Fra il pubblico attento e partecipe (vedi 5°
f/b) i fratelli Del Gaudio (4° f/b) seduti in prima fila conoscono
bene Donata e Umberto (3° f/b) e sanno che uno dei molteplici
gruppi dell’instancabile Umberto, i Traine Mannut in cui
militano il banjoista Vito De Bellis, amico e cliente di Saverio (2°
f/b) e il mandolinista Giorgio Osti, amico di Paolo dei Ragazzi del
Sole (1° f/b), è orfano di chitarrista, emigrato inopinatamente a
Londra, e gentilmente e avventatamente fanno il mio nome come
possibile eventuale rimpiazzo. Giorgio, ingenuo e fiducioso, mi
contatta e, dopo alcune false partenze, finalmente ci incontriamo
per una prima annusata reciproca.
Vito
mi apre la porta. La corporatura asciutta mi richiama alla mente un
tenace fantino delle corse di Ascot, impressione in qualche modo
confermata dai pantaloni verde chiaro con applicazioni scamosciate
sul retro che suggeriscono un che di cavallerizzo. In realtà è il
suo lussuoso banjo a 5 corde la mente e la locomotiva del progetto,
l’autore di tutti i pezzi, rigorosamente strumentali, che formano
il repertorio del gruppo. Giorgio invece deve chinarsi per entrare:
grigi capelli mossi e barba irlandese su un viso sereno ed aperto ad
una spanna sopra la mia testa. Il suo mandolino è lo specchio e
l’eco del leader. Purtroppo i vari spostamenti di data per questo
incontro hanno provocato l’assenza di Umberto, ma i due membri
restanti sono comunque sufficienti per propormi qualche loro pezzo.
Che
dire? Il gruppo (lo vedrò in un filmato di una serata di
beneficenza organizzata e diretta dal Paolo del 1° f/b) è formato
da quattro solisti che interagiscono in un complesso intreccio di
riff, arpeggi, stacchi, cambi di tempo e di tonalità, assoli,
chiamate-e-risposte che è ben lontano dal più semplice ed
immediato blues a cui sono abituato. In pratica riesco ad inserirmi
solo in un paio di pezzi e deduco lucidamente che ai Traine Mannut
non serva un chitarrista come me, ma mi do comunque disponibile per
ulteriori approfondimenti. Come ben dice Giorgio, al di là delle
scelte finali, a livello personale si è trovata identità di
vedute, di passioni, di curiosità. E’ stato un bel pomeriggio, è
stato curioso scoprire i legami e le conoscenze in comune. Il mondo
è davvero piccolo, in particolare quello dei tenaci e
immarcescibili musicanti torinesi ed ha ragione Giorgio a chiedere
incredulo: ma come mai non ci siamo incontrati prima?!
Cinque
anni dopo eccomi seduto in prima fila nella ben nota cornice della
Cascina Pro Polis a godermi i Traine Mannut che nel frattempo si
sono tagliati la barba (Giorgio) e ampliati ed assestati con Pompeo
Torchio alla chitarra (era lui il chitarrista che stavano
cercando!), l'incisivo violino di Corrado Trabuio e le fantasiose
percussioni di Fabio Turini. Aggiungiamo un'ulteriore tessera al
merletto delle coincidenze? Sul palco noto un lucido amplificatore Fender
Performer 65. Ora, non pretendo di essere un'enciclopedia in
fatto di scatole sonore (di chitarre forse sì), ma quel modello mi
è fin troppo noto. Con fare noncurante chiedo al chitarrista: come
ti trovi con quello? Ah, una meraviglia, risponde lui e così
rassicurato posso far saltare il tappo: era il mio ampli, che
avevo ceduto a Savino il quale
(rendendosi poi conto che non era l'ideale per il suo sferragliante
bouzouki) l'aveva ceduto a sua volta a Pompeo!
Il
concerto è soprattutto la scusa per Vito per sparare... per
intrattenere l'uditorio con battute, facezie, gag, arguzie,
spiritosaggini e giochi di parole, uno dei pochi concerti in cui
ogni pezzo inizia con una risata collettiva. Il virtuosismo degli
strumentisti è sempre alle stelle; il genere, pur essendo
pressoché tutto di composizione di Vito (Giorgio taglia corto con
studiata impazienza sui crediti che il socio gli riconosce) affonda
le radici nel bluegrass americano, in cui ogni strumento, a turno,
prende il sopravvento sugli altri e improvvisa con variazioni sul
tema, mentre gli altri lo accompagnano sullo sfondo. Lo spettatore
attento nota i reiterati tentativi del violinista Corrado di
controbattere le sc... le allegre battute di Vito. Lo spettatore
meno attento, invece, non può fare comunque a meno di apprezzare
l'energia e il gusto degli assoli di Umberto al basso. Umberto è
colonna portante di una miriade di gruppi, ma mi sento di affermare
e testimoniare che nei Traine Mannut il suo rapporto con le Quattro
Corde Spesse sfiora la beatitudine. La disinvoltura di Corrado sulle
Quattro Corde Sottili mi richiama invece alla mente lo stile
beffardo e autorevole di His Fiddlity Sir Stephen
Wickham, che per me è il massimo dei violinistici complimenti.
Sciolto e disinvolto Pompeo sulla sua asciutta Danelectro, presente
e vario Fabio con il suo supermercato percussivo. Ciliegina sulla
torta (e ulteriore tessera ad incastro) a fine concerto il
nostro Dino Pelissero sguaina il
suo ben noto attrezzo per unirsi alla jam. Gran concerto, bella
serata.
Ma
vi rendete conto di quanti eccezionali musicisti può vantare la
nostra Torino? E quante vicende, amicizie, aneddoti, incastri,
coincidenze, incontri, collaborazioni, sorprese si nascondono nel
tessuto (macramè) di queste notti sonore? Nooo?! Guardate, ho io da
raccontarvi certe storie! Dunque: 1° flashback - Sestriere 1963...
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